Tormentato arrivo alle Galapagos

dal 17/05/98 al 23/05/98

Settimana 51

Tormentato arrivo alle Galapagos

Domenica

Alle prime luci dell’alba contattiamo Maracla e ci accordiamo per incontrarci e per trainarli. Loro per fortuna hanno ancora un’ottantina di litri di gasolio nelle taniche e dovrebbero bastare.

Li raggiungiamo alle 14 e dopo averci tirato un sacchetto con dentro un’ arancia e con legato un cordino, facciamo il trasbordo delle taniche. Poi ci passano le cime e iniziamo a trainarli. Maracla è un bello Swan 42 lungo quasi 13 metri e pesante 10 tonnellate, noi siamo lunghi 10 metri e pesiamo 6 tonnellate.

Questa diversità si fa sentire durante il traino e quando Maracla prende un onda quasi ci blocca. Avanziamo pianissimo, a circa un nodo, il motore sforza parecchio e l’elica cavita inducendo delle forti vibrazioni all’asse e a tutta la barca.

Il vento è esattamente nel naso e non riusciamo a tenere la rotta, così siamo costrettia scadere un po’ a nord. Verso sera ci stacchiamo, c’è un po’ di vento e decidiamo di dare un po’ di riposo al nostro motore.

Lunedì

Loro di bolina vanno più forte così siamo costretti ad andare a motore per non  perderli. Di sera il vento cala e li trainiamo tutta la notte.

Martedì

Le Galapagos erano chiamate Isole Incantate dagli spagnoli, a causa delle forti correnti che le circondano e che a volte facevano si che le navi non le trovassero.

Ora le stiamo sperimentano anche noi. La corrente ci spinge sempre più a nord e così non riuscendo ad arrivare a Puerto Ayora, che si trova nel sud dell’isola di Santa Cruz, decidiamo di dirigerci a Puerto Baltra, che si trova nell’isola Baltra poche miglia a nord di Santa Cruz.

Qui c’è una base militare della marina dell’Ecuador e speriamo che ci facciano entrare. Nel pomeriggio avvistiamo un branco di capidogli che pescano formando un grosso circolo. Che spettacolo! E’ la prima volta che vediamo le balene e ce ne sono decine. Cerchiamo di avvicinarci, ma non gradiscono l’’intrusione e si allontanano. Purtroppo il tempo è brutto, piove forte e non riusciamo fare neanche una foto.

Incominciano a farsi vedere anche le foche; un paio ci vengono vicino, ci guardano incuriosite e poi se ne vanno. Alle 17 mancano 15 miglia a Baltra e visto che non abbiamo carte decidiamo di aspettare qualche ora per cercare di arrivare all’’alba. La corrente è forte e ci spinge a quasi 3 nodi verso nord, così dopo un ora siamo costretti ad alzare le vele e a fare dei bordi per non perdere troppo terreno.

Mercoledì

All’una iniziamo a trainarli e all’alba sfiniti incominciamo ad avvicinarci all’isola, che si rivela molto bella e selvaggia.

Lucia, chiama la base militare con la radio e spiegatogli il problema ci danno il permesso di entrare Da quanto ci dicono per entrare nella baia non ci sono ne secche né particolari problemi, il che ci solleva un po’ il morale.

Una nave, l’Alexandra, che è ormeggiata fuori dalla rada, ci da le istruzioni per radio e arrivati davanti alla baia, incominciamo a vedere delle barche ormeggiate (sono barche locali da charter che vengono qua a fare rifornimento di gasolio) e un piccolo agglomerato di case.

Senza problemi entriamo dentro e dopo aver depositato Maracla in mezzo all’ancoraggio, anche noi diamo fondo. E’ stata lunga, 11 giorni per fare 850 miglia!

All’interno della barca c’è un casino bestiale, una trentina di pompelmi sono marciti e si sono spappolati emanando una bella puzza. A causa della tremenda umidità in cui siamo vissuti nell’ultimo mese tutto è coperto da una sottile patina di muffa; per fortuna qui c’è il sole ed una bella aria secca.

Nonostante sia parecchie notti che praticamente non dormiamo, alla vista delle foche che circondano la barca, le sule dalle zampe blu che fanno le loro picchiate nell’acqua e le fregate dal gozzo rosso che ci volano sopra ci rianimiamo e con una bella tazza di cioccolata calda in mano ci godiamo lo spettacolo.

Il paesaggio che circonda la baia è fatto di rocce rosse, che a causa delle forti piogge della stagione precedente (colpa del El Niño), sono contornate da una verdissima vegetazione: il colpo d’occhio è stupendo e da l’idea di una terra selvaggia.

Peppino e Lucia sono veramente fortunati! Dopo un’ora che siamo arrivati, hanno già sistemato il loro problema e vediamo il loro motore funzionare. Arrivati, hanno preso contatto con il comandante dell’Alexandra per ringraziarlo dell’aiuto e lui come se non bastasse gli ha inviato ben tre meccanici a bordo per cercare di riparargli il guasto. In pochi minuti gli hanno smontato il pezzo rotto, lohanno rifatto con il tornio che hanno a bordo e lo hanno rimontato.

Nel pomeriggio Lorenzo e Peppino vanno a fare le pratiche d’ingresso alla base militare e sono accolti benissimo dai militari che dicono che possiamo stare quanto vogliamo. Per ringraziarli organizziamo per domani una cena a base di pasta con tutta la base, che in pratica sono otto militari con le rispettive mogli.

Giovedì

Il fuoribordo non funziona più e nonostante Lorenzo loabbia smontato pulito e  rimontato continua a non funzionare. Intanto Annalisane approfitta per stare un po’ a mollo e pulire la linea d’acqua che è piena di alghe e di schifezze raccolte in porto a Panama. Mentre è in acqua si sente un urlo: “C’è qualcosa di viscido che mi ha toccato il piede! Lorenzo accorre e scopre che non è uno squalo, ma una foca che vuole giocare egli gira intorno. Purtroppo le foche sono tutte malandate, sono piene di ferite e molte hanno il muco al naso. Sembra che la causa sia ancora il Nino, che ha fatto muovere tutto il pesce lontano dalle coste e quindi le povere foche non hanno più da mangiare e si indeboliscono oppure sono costrette ad andare molto al largo dove sono più soggette agli attacchi degli squali.

Alle otto, con Lucia, Peppino e Blu scendiamo a terra armati di spaghetti, sugo al pomodoro, e qualche bottiglia di vino per fare una festa insieme alle famiglie dei militari della base. Al nostro arrivo veniamo accolti dal vicecomandante di una piccola nave militare che ci invita a fare gli spaghetti a bordo della nave, dicendo che avrebbero provveduto loro a chiamare quelli della base. Più tardi quando ormai la pasta era già cotta capiamo che ci hanno un po’ fregato e che quelli della base non sono stati avvertiti.

Comunque passiamo una serata piacevole con gli ufficiali della nave che ci raccontano le loro avventure di caccia ai pescherecci giapponesi, che vengono a pescare illegalmente nelle acque delle Galapagos. I giapponesi pescano principalmente gli squali, ma solo per prendere loro la pinna caudale, che dagli orientali è ritenuta afrodisiaca, e poi li ributtano in mare (morti). Sono organizzatissimi, hanno i mini-elicotteri per dare l’allarme in caso di avvicinamento delle poche e malmesse vedette equatoriane e nel caso siano presi pagano la multa e dopo pochi giorni sono di nuovo pronti per pescare.

Venerdì

Il comandante della nave ci offre il pieno di gasolio e di acqua, Lorenzo e Peppino si fanno una bella sfacchinata con le taniche, dato che entrambe le barche hanno il serbatoio vuoto. Poi andiamo a fare una bella passeggiata sulla spiaggia.

Facciamo il nostro primo incontro con le iguane, che se ne stanno a prendere il sole sui rami degli alberi. Neri con la crestasulla testa, le labbra sporgenti e la pelle cadente, probabilmente stanno facendo la muta. Sono dei piccoli mostri, ma fanno tenerezza tanto sono brutti.

 

Sugli scogli c’è un gruppetto di foche, anche queste piuttosto malandate, che condividono lo spazio con delle bellissime sule, che qui alle Galapagos hanno le zampe azzurre, e con grossi pellicani. Questi animali non sono abituati alla gente, e ci lasciano avvicinare fino a pochi passi. Ci mordiamo le dita che non abbiamo portato dietro la macchina fotografica! La sera replichiamo la spaghettata con i marinai della base e le loro famiglie, che ci confermano cheieri sera non sono stati avvisati. La serata passa piacevolmente chiacchierando, in spagnolo, scambiandoci esperienze, ricette etc.

Sabato

Abbiamo del pesce vecchio in frigo e ci viene in mente un nuovo sport: “fregate feeding”.

d8_09

 

In pratica si tratta di tirare in aria dei pezzetti di pesce e ammirare le acrobazie aeree delle grosse fregate che lottano per accaparrarsi il boccone. Sono impressionanti: hanno un’apertura alare di almeno 2 metri un robusto becco e dei grossi artigli e sono talmente spericolate che con delle vertiginose picchiate ci vengono a prendere il pesce quasi dalla mano.

L’acqua circostante alla barca si riempie subito di pellicani, che non competono con le fregate, ma attendono pazientemente che queste sbaglino e si lascino sfuggire il boccone. La fregata è l’uccello con il più basso rapporto peso/superficie alare che significa che ha delle grandi ali leggerissime, però non ha, come gli uccelli marini, il grasso sulle piume che le rendono impermeabili, quindi se si bagna non riesce più a volare. Ecco perché si è adattata a “fregare” il cibo invece che pescarselo.

Quelli della base ci fanno il bidone, avevano detto che ci portavano a fare un giro, ma non si sono fatti vedere. Ci consoliamo con una deliziosa pasta con i ricci pescati da Peppino, Lorenzo e Blu. Sarebbe proibito, ma il fondo marino ne è pieno e qui non c’è nessuno.