Alla ricerca degli oran gutan

Alcune pagine del nostro diario scritte nella foresta del Kalimantan, Borneo Indonesiano, alla ricerca degli orang utang e dei luoghi in cui i ricercatori del Tanjung National Park studiano gli oranghi allo stato brado e cercano di reinserire quelli liberati dalla cattività.

8 Novembre 1999

Partiti da Bali, dopo cinque giorni di navigazione a motore passati a fare lo slalom tra le migliaia di barche da pesca indonesiane, le reti ed i tronchi alla deriva, finalmente avvertiamo la presenza della terra e c’investe un intenso odore di terriccio umido e di fiori, come se fossimo entrati in una serra.

La base di partenza per visitare il parco nazionale è la cittadina di Kumai, che si trova 30 km all’interno della foce del fiume omonimo, che risaliamo, stando attenti a non finire nelle secche. L’acqua è marrone, piena di detriti e di tronchi e le rive sono coperte da una fitta giungla. In cinque ore arriviamo a Kumai.

La cittadina si distende lungo il fiume e spiccano le cupole delle moschee, ne contiamo almeno cinque, e le centinaia di barche da trasporto a vela che allineate in tripla fila, aspettano di caricare i tronchi provenienti dall’interno della foresta. Ci ancoriamo di fronte alla città, sulla riva opposta e ci godiamo il tramonto stanchi, ma soddisfatti di essere arrivati.

9 Novembre 1999

Sveglia alle quattro, a causa dei muezzin che fortemente amplificati, invitano i fedeli alla preghiera mattutina. Passiamo la mattinata a fare rifornimento di gasolio, che in Indonesia costa circa 200 lire al litro. E’ una bella sfacchinata: riempire le taniche, trasportarle in gommone e travasarle nel serbatoio.

A mezzogiorno arrivano due barche di amici americani, sono Margarita e Hoptoad. Avevamo incontrato a Bali i loro simpatici equipaggi, due allegre famiglie con in totale cinque ragazzini, e ci siamo sentiti per radio durante tutta la traversata. Ci accordiamo per noleggiare insieme due barche a fondo piatto per risalire il fiume.

10 Novembre 1999

Sveglia alle sette per andare, insieme ai due cuochi, a fare la spesa al mercato di Kumai. Il mercato è molto caratteristico. Centinaia di donne vendono verdure e frutti strani, spezie, riso, carne e pesci, il tutto avvolto da nugoli di mosche e da un odore pungente ed indimenticabile. I cuochi non parlano inglese, ma sono esperti e conoscono le quantità di cibo necessario per 11 persone. In un paio d’ore ritorniamo alle barche carichi di borse e pronti a partire.

Inizia l’avventura!
Risaliamo un tributario del fiume. Ci sistemiamo in coperta pronti a scorgere i movimenti delle scimmie o dei coccodrilli ai lati del fiume. Ben presto scorgiamo le prime scimmie: sono gibboni, riconoscibili per il muso nero contornato di bianco. Il tragitto fino al primo campo dura un paio d’ore e quando arriviamo riceviamo l’accoglienza di Michel un simpatico gibbone. Scorrazza ovunque sulla barca alla ricerca di qualche nocciolina o di una coccola. Il pranzo e’ servito, il nostro cuoco ha approfittato del tragitto per prepararci dei deliziosi piatti locali. Visitiamo il campo con Michel che ci segue, saltando da un ramo al braccio di uno di noi, ogni tanto ci precede, si nasconde e poi ci fa’ le imboscate alle spalle facendoci spaventare a morte.

Davanti all’abitazione di uno dei ranger ci fermiamo ad ammirare un cucciolo d’orango di due anni. E’ stato catturato dai bracconieri per poi essere venduto come animale domestico. Ora il giovane ranger se ne sta occupando giorno e notte per cercare di reintrodurlo nel suo ambiente naturale. Ha due occhi tenerissimi, ma ancora più tenerezza suscita il ragazzo per la cura e la dolcezza con cui tratta il piccolo.
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Fa un caldo bestiale e le zanzare non danno tregua. Veniamo anche investiti da uno scroscio di pioggia torrenziale. Riprendiamo a navigare e quando raggiungiamo il secondo campo e’ già’ buio. Il programma prevede di cenare e andare nella foresta per vedere i funghi fluorescenti. “Al buio nella foresta!”. Jan Juan fatica molto a convincerci, ma poi alla fine tutti partecipano alla spedizione. A parte queste strane lucine accese nel buio, la cosa veramente suggestiva sono i rumori e i versi degli animali che risuonano nel silenzio assoluto.

11 novembre 1999

Alle otto raggiungiamo a piedi la “feeding station”, un piattaforma rialzata in legno sulla quale i rangers hanno deposto mucchi di banane. “Rose marie!”. Tutti in coro ripetiamo questo nome, fino a quando la vediamo arrivare. Facendo evoluzioni da trapezista sui rami degli alberi arriva un bellissimo esemplare d’orango femmina con al collo il suo piccolo. Poi ne arrivano altri quattro. Rimaniamo a naso in su per più di un’ora scattando foto. Un volta sazi gli oranghi scorrazzano sugli alberi e i ruoli si invertono ora sono loro che ci osservano. Hanno uno sguardo così simile al nostro che si capisce l’origine del loro nome orang (uomo) utang (foresta) uomo della foresta in indonesiano.

Annalisa vede un piccolo accoccolato a terra e si avvicina un po’ per farsi fotografare. E questo che fa? Con grande stupore le va incontro e le mette le braccia al collo in un tenero abbraccio. Ultimo a comparire sulla scena e’ un maschio. Ci raccontano che e’ sempre vissuto allo stato brado, ma a causa del forte disboscamento in atto, gli oranghi della sua dimensione faticano a trovare il quantitativo di cibo necessario per la loro sopravvivenza (5kg di frutti al di) e quindi sono costretti ad accettare il cibo dall’uomo. E’ maestoso, peserà almeno 150kg, e non sembra gradire molto l’intrusione di estranei nel suo territorio. Mangia in fretta qualche casco di banane poi con un grugnito se ne ritorna sulle cime degli alberi.

Nel pomeriggio proseguiamo il nostro viaggio per raggiungere il terzo campo che si trova su una diramazione del fiume. “Qui l’acqua e’ pulita” dice la guida. Il colore dell’acqua e’ cambiato da marrone a nero e noi veramente non associamo nessun dei due colori all’acqua pulita. Juan ci spiega che a monte dell’altra diramazione del fiume c’è una miniera d’oro che getta i propri rifiuti di mercurio nel fiume. Il caldo soffocante ci spinge a buttarci in acqua nonostante il colore ben poco invitante e il coccodrillo avvistato arrivando.

Sembra di fare il bagno nella coca cola!

Visitiamo il campo dove c’è una femmina di orango con il suo piccolo accovacciata su un albero di rambutan che si sgranocchia i frutti. Il piccolo piange e il ranger ci spiega che la madre e’ adottiva e il piccolo non si e’ ancora adattato alla vita nella foresta. La sera dopo cena l’equipaggio si scatena. Il tutto inizia con la richiesta di mostrarci una danza dayak, la popolazione autoctona della zona. La danza e’ basata sull’imitazione del rituale di corteggiamento delle gru e tutti noi siamo chiamati a provare. Poi viene acceso lo stereo con musica disco e la danza si scatena. Quasi tutti finiscono in acqua.

12 Novembre 1999

Massacrante camminata di cinque ore nella foresta, con il fango alle caviglie,alla ricerca degli oranghi selvaggi. Ci accompagna un ragazzo dayak che percorre questi e altri sentieri tutti i giorni per accompagnare i ricercatori che studiano gli oranghi. Partono alle tre del mattino e si accampano spesso per la notte sotto l’albero sul quale avvistano l’orango. Oggi è il suo giorno libero e ha deciso di accompagnarci. Ci racconta molte cose sulla vita di questi docili animali e anche sulle proprietà curative delle piante che incontriamo lungo il tragitto.

Un tonfo richiama la sua attenzione, si allontana dal sentiero per poi tornare a chiamarci. E’ un maschio adulto e se ne sta comodamente seduto su uno degli alberi più alti. Ci guarda per niente spaventato con un’espressione sorniona e umana. Mangia delle bacche e sembra divertirsi a sputarci i semi dall’alto.

Quando ritorniamo dal nostro trekking siamo tutti malconci. Sudati, pieni di punture di zanzare, con i jeans tutti infangati, ci si sono rotte persino le scarpe. Annalisa ha persino un’enorme macchia rossa sotto il ginocchio, non se ne era accorta fino a quando arrivando al campo qualcuno ha indicato
la sua gamba dicendo “sanguisuga!”. La guida dayak, invece e’ perfetta ancora con la piega nei pantaloni e senza il minimo segno di fatica. La pioggia pomeridiana che ci accompagna durante la discesa del fiume segna la fine della nostra gita.

Domani partiremo alla volta di Singapore sarà una navigazione pesante con poco vento e contrario, temporali e burrasche violente, ci rallegrerà il ricordo di questi giorni e l’aspettativa di altre avventure.

Alla ricerca degli oran gutan.

  Alcune pagine del nostro diario scritte nella foresta del Kalimantan, Borneo Indonesiano, alla ricerca degli orang utang e dei luoghi in cui i ricercatori del Tanjung National Park studiano gli oranghi allo stato brado e cercano di reinserire quelli liberati dalla cattività.
 

8 Novembre 1999

Partiti da Bali, dopo cinque giorni di navigazione a motore passati a fare lo slalom tra le migliaia di barche da pesca indonesiane, le reti ed i tronchi alla deriva, finalmente avvertiamo la presenza della terra e c’investe un intenso odore di terriccio umido e di fiori, come se fossimo entrati in una serra.

La base di partenza per visitare il parco nazionale è la cittadina di Kumai, che si trova 30 km all’interno della foce del fiume omonimo, che risaliamo, stando attenti a non finire nelle secche. L’acqua è marrone, piena di detriti e di tronchi e le rive sono coperte da una fitta jungla. In cinque ore arriviamo a Kumai.

La cittadina si distende lungo il fiume e spiccano le cupole delle moschee, ne contiamo almeno cinque, e le centinaia di barche da trasporto a vela che allineate in tripla fila, aspettano di caricare i tronchi provenienti dall’interno della foresta. Ci ancoriamo di fronte alla città, sulla riva opposta e ci godiamo il tramonto stanchi, ma soddisfatti di essere arrivati.

9 Novembre 1999

Sveglia alle quattro, a causa dei muezzin che fortemente amplificati, invitano i fedeli alla preghiera mattutina. Passiamo la mattinata a fare rifornimento di gasolio, che in indonesia costa circa 200 lire al litro. E’ una bella sfacchinata: riempire le taniche, trasportarle in gommone e travasarle nel serbatoio.

A mezzogiorno arrivano due barche di amici americani, sono Margarita e Hoptoad. Avevamo incontrato a Bali i loro simpatici equipaggi, due allegre famiglie con in totale cinque ragazzini, e ci siamo sentiti per radio durante tutta la traversata. Ci accordiamo per noleggiare insieme due barche a fondo piatto per risalire il fiume.

10 Novembre 1999

Sveglia alle sette per andare, insieme ai due cuochi, a fare la spesa al mercato di Kumai. Il mercato è molto caratteristico. Centinaia di donne vendono verdure e frutti strani, spezie, riso, carne e pesci, il tutto avvolto da nugoli di mosche e da un odore pungente ed indimenticabile. I cuochi non parlano inglese, ma sono esperti e conoscono le quantità di cibo necessario per 11 persone. In un paio d’ore ritorniamo alle barche carichi di borse e pronti a partire.

Inizia l’avventura!
Risaliamo un tributario del fiume. Ci sistemiamo in coperta pronti a scorgere i movimenti delle scimmie o dei coccodrilli ai lati del fiume. Ben presto scorgiamo le prime scimmie: sono gibboni, riconoscibili per il muso nero contornato di bianco. Il tragitto fino al primo campo dura un paio d’ore e quando arriviamo riceviamo l’accoglienza di Michel un simpatico gibbone. Scorrazza ovunque sulla barca alla ricerca di qualche nocciolina o di una coccola. Il pranzo e’ servito, il nostro cuoco ha approfittato del tragitto per prepararci dei deliziosi piatti locali. Visitiamo il campo con Michel che ci segue, saltando da un ramo al braccio di uno di noi, ogni tanto ci precede, si nasconde e poi ci fa’ le imboscate alle spalle facendoci spaventare a morte.

Davanti all’abitazionedi uno dei ranger ci fermiamo ad ammirare un cucciolo d’orango di due anni. E’ stato catturato dai bracconieri per poi essere venduto come animale domestico. Ora il giovane ranger se ne sta occupando giorno e notte per cercare di reintrodurlo nel suo ambiente naturale. Ha due occhi tenerissimi, ma ancora più tenerezza suscita il ragazzo per la cura e la dolcezza con cui tratta il piccolo.


Fa un caldo bestiale e le zanzare non danno tregua. Veniamo anche investiti da uno scroscio di pioggia torrenziale. Riprendiamo a navigare e quando raggiungiamo il secondo campo e’ già’ buio. Il programma prevede di cenare e andare nella foresta per vedere i funghi fluorescenti. “Al buio nella foresta!”. Jan Juan fatica molto a convincerci, ma poi alla fine tutti partecipano alla spedizione. A parte queste strane lucine accese nel buio, la cosa veramente suggestiva sono i rumori e i versi degli animali che risuonano nel silenzio assoluto.

11 novembre 1999

Alle otto raggiungiamo a piedi la “feeding station”, un piattaforma rialzata in legno sulla quale i rangers hanno deposto mucchi di banane. “Rose marie!”. Tutti in coro ripetiamo questo nome, fino a quando la vediamo arrivare. Facendo evoluzioni da trapezista sui rami degli alberi arriva un bellissimo esemplare d’orango femmina con al collo il suo piccolo. Poi ne arrivano altri quattro. Rimaniamo a naso in su per più di un’ora scattando foto. Un volta sazi gli oranghi scorrazzano sugli alberi e i ruoli si invertono ora sono loro che ci osservano. Hanno uno sguardo così simile al nostro che si capisce l’origine del loro nome orang (uomo) utang (foresta) uomo della foresta in indonesiano.

Annalisa vede un piccolo accoccolato a terra e si avvicina un po’ per farsi fotografare. E questo che fa? Con grande stupore le va incontro e le mette le braccia al collo in un tenero abbraccio. Ultimo a comparire sulla scena e’ un maschio. Ci raccontano che e’ sempre vissuto allo stato brado, ma a causa del forte disboscamento in atto, gli oranghi della sua dimensione faticano a trovare il quantitativo di cibo necessario per la loro sopravvivenza (5kg di frutti al di) e quindi sono costretti ad accettare il cibo dall’uomo. E’ maestoso, peserà almeno 150kg, e non sembra gradire molto l’intrusione di estranei nel suo territorio. Mangia in fretta qualche casco di banane poi con un grugnito se ne ritorna sulle cime degli alberi.

Nel pomeriggio proseguiamo il nostro viaggio per raggiungere il terzo campo che si trova su una diramazione del fiume. “Qui l’acqua e’ pulita” dice la guida. Il colore dell’acqua e’ cambiato da marrone a nero e noi veramente non associamo nessun dei due colori all’acqua pulita. Juan ci spiega che a monte dell’altra diramazione del fiume c’è una miniera d’oro che getta i propri rifiuti di mercurio nel fiume. Il caldo soffocante ci spinge a buttarci in acqua nonostante il colore ben poco invitante e il coccodrillo avvistato arrivando.

Sembra di fare il bagno nella coca cola!

Visitiamo il campo dove c’è una femmina di orango con il suo piccolo accovacciata su un albero di rambutan che si sgranocchia i frutti. Il piccolo piange e il ranger ci spiega che la madre e’ adottiva e il piccolo non si e’ ancora adattato alla vita nella foresta. La sera dopo cena l’equipaggio si scatena. Il tutto inizia con la richiesta di mostrarci una danza dayak, la popolazione autoctona della zona. La danza e’ basata sull’imitazione del rituale di corteggiamento delle gru e tutti noi siamo chiamati a provare. Poi viene acceso lo stereo con musica disco e la danza si scatena. Quasi tutti finiscono in acqua.

12 Novembre 1999

Massacrante
camminata di cinque ore nella foresta
, con il fango alle caviglie,
alla ricerca degli oranghi selvaggi.
Ci accompagna un ragazzo dayak che percorre questi e altri sentieri tutti
i giorni per accompagnare i ricercatori che studiano gli oranghi. Partono
alle tre del mattino e si accampano spesso per la notte sotto l’albero
sul quale avvistano l’orango. Oggi è il suo giorno libero e ha deciso
di accompagnarci. Ci racconta molte cose sulla vita di questi docili animali
e anche sulle proprietà curative delle piante che incontriamo lungo il
tragitto.
Un tonfo richiama la sua attenzione, si allontana dal sentiero per poi
tornare a chiamarci. E’ un maschio adulto e se ne sta comodamente seduto
su uno degli alberi più alti. Ci guarda per niente spaventato con un’espressione
sorniona e umana. Mangia delle bacche e sembra divertirsi a sputarci i
semi dall’alto.

Quando
ritorniamo dal nostro trekking siamo tutti malconci. Sudati, pieni
di punture di zanzare, con i jeans tutti infangati, ci si sono rotte persino
le scarpe. Annalisa ha persino un’enorme macchia rossa sotto il ginocchio,
non se ne era accorta fino a quando arrivando al campo qualcuno ha indicato
la sua gamba dicendo “sanguisuga !”. La guida dayak, invece e’ perfetta
ancora con la piega nei pantaloni e senza il minimo segno di fatica. La
pioggia pomeridiana che ci accompagna durante la discesa del fiume segna
la fine della nostra gita.

Domani
partiremo alla volta di Singapore sarà una navigazione pesante con poco
vento e contrario, temporali e burrasche violente, ci rallegrerà il ricordo
di questi giorni e l’aspettativa di altre avventure.