Settimana 185
Dal 10/12/2000 al 17/12/2000
Navigazione della parte meridionale del Mar Rosso
Il passaggio dello stretto di Bab el Mambeb è stato abbastanza duro. Vento forte, per fortuna in poppa, mare grosso e ripido e centinaia di navi da evitare. Il mare si è mantenuto agitato fino alle isole Zubair, davanti alle quali un onda ci ha investito da poppa allagandoci completamente il pozzetto, poi lentamente si è calmato. Anche il vento purtroppo sta calando e verso le 22 siamo costretti a procedere a motore.
Rotta verso Massaia
Alle prime luci dell’alba si alza il vento, ma dalla parte sbagliata: nord ovest, cioè esattamente la direzione dove dobbiamo andare.
Abbiamo due possibilità: o ci ancoriamo in un’isola del gruppo delle Zubair oppure facciamo un bordo verso ovest e andiamo in Eritrea. Per radio gli amici italiani che sono a Port Sudan ci dicono che per ancorarsi alle Zubair sarebbe necessario un permesso, ma di solito i militari Yemeniti tollerano una breve pausa. Non abbiamo voglia di avere a che fare con i militari, facciamo rotta verso Massaia, Eritrea. Boliniamo tutto il giorno contro un vento teso ed un mare ripido: un attività poco divertente.
Approdo a Massaia
Navighiamo a vela fino all’alba, poi il vento muore il mare si calma, siamo sottovento al gruppo dell Dhalach. Andiamo a motore.
Il cielo è completamente coperto da nuvole spesse e basse, e la cappa di umidità è opprimente. Siamo vicini alla costa ed l mare è pieno di uccelli, grosse gru, pellicani ed altri strani uccelli migratori.
Siamo stanchi e ci sognamo una bella insalata e dell’acqua fresca e soprattutto dolce. Infatti a Djibouti abbiamo riempito i serbatoi di acqua che poi si è rivelata abbastanza salata. E’ probabilmente il frutto di una dissalazione insufficiente. A parte il gusto, che è pessimo, notiamo che facciamo fatica a digerirla e abbiamo sempre dei piccoli dolori ai reni. Purtroppo a causa del colpo di stato, a Djibouti non siamo riusciti ad acquistare acqua in bottiglia, e il solo liquido bevibile che abbiamo a bordo è la nostra birra. Arriviamo a Massaia poco dopo mezzanotte, entriamo in porto ci ancoriamo dove possiamo e poi cadiamo in trance. Siamo stanchissimi.
Giornata di relax a Massawa
Scendiamo nell’area portuale per sbrigare le pratiche di ingresso. Il porto è in piena attività. Tre grosse navi stanno scaricando grano e container, sono gli aiuti umanitari delle Nazioni Unite. Gli ufficiali anche se flemmatici, sono gentilissimi e in un paio d’ore ce la caviamo. Paghiamo 60$ per il visto ma il resto è gratuito.
Appena finite le incombenze burocratiche ci fiondiamo alla ricerca di qualcosa di fresco da mangiare. La cittadina è polverosa, le strade sono tutte in terra battuta e molte case sono state danneggiate dalla guerra contro l’Etiopia e ovunque si vedono i segni dei combattimenti. La gente è gentile e dignitosa.
Il mercato mezzo distrutto, è piuttosto povero, ma due signore vendono quello che ci serve: pomodori, insalata, carote, arance, banane. Poi troviamo il macellaio e ci compriamo un chilo di carne per fare l’arrosto. Quindi soddisfatti torniamo in barca con il “bottino” alimentare. La carne e durissima e dopo un’ora di pentola a pressione è ancora dura come la gomma. Però è saporita e l’insalata mista deliziosa. La giornata, di relax, prosegue con il taglio reciproco dei capelli, che ormai erano diventati lunghissimi.
Al tramonto facciamo un colpo di vita, e anche per digerire la carne, torniamo in città per fare un altro giro. In un bar del centro incontriamo due nostri “vicini di casa”. Una coppia di tedeschi che sono sulla barca ancorata vicino a noi. Sono simpatici, hanno appena percorso il Mar Rosso provenendo da nord e sono diretti alle Seychelles e in Madagascar. Noi facciamo il percorso inverso e ci scambiamo un sacco d’informazioni.
Dalla strada polverosa dove eravamo seduti passiamo a fare un giro notturno per la città. Con la luce è più carina, non si vedono le macerie e il caldo è meno soffocante. Le case sono in un stile misto tra l’arabo e quello dei paesini dell’Italia meridionale. E’ pieno di bar e ristorantini e la gente chiacchiera, mangia e dorme sulla strada, evidentemente nelle case fa troppo caldo. Davanti ad ogni abitazione, le donne sono sedute su piccoli sgabelli intorno ad un braciere su cui bolle o la pentola con il cibo o una caffettiera primordiale di terracotta. Tutte ci invitano ad assaggiare quello che stanno mangiando o a prendere il caffè. C’è una bella atmosfera e siamo contenti di aver cambiato programma ed essere venuti in Eritrea.
Giorno dedicato ai rifornimenti
In mattinata andiamo a fare un po’ di spesa e gironzolare per Massawa. Poi torniamo in barca e dopo pranzo Lorenzo inizia a fare i giri in gommone con le taniche per fare il pieno di gasolio e di acqua.
Abbiamo acquistato altre quattro taniche da 20 litri per il gasolio e ora abbiamo la coperta piena. Percorreremo il tratto da Port Sudan fino a Suez, che è sempre contro vento in questa stagione, in un canale tra i reef e la costa utilizzando sempre il motore. Quindi abbiamo bisogno della massima autonomia poiché per 350 miglia c’è solo deserto, e ci hanno detto che i consumi del motore raddoppiano.
Concludiamo la giornata con un’ottima cena a base di gamberoni freschi in un ristorante del centro insieme a Petra e Manfred. Costo 4 $ a testa!
Gita ad Asmara
Sveglia alle 6, oggi si va in gita ad Asmara. Asmara è la capitale dell’Eritrea, è stata fondata dagli italiani e si trova su un altopiano a 2300 metri di altezza.
Ci aspettano quattro ore di viaggio su un vecchio bus indiano, scassato, fumoso e rumoroso. Prima di partire, l’autista carica l’inimmaginabile sul tetto: dalla legna da bruciare alle stie con i polli! All’interno i posti sono tutti occupati, la maggioranza da donne, di almeno una decine etnie differenti. Alcune hanno il velo nero, sono mussulmane, altre elaborati disegni sulla testa, ricavati intrecciando i capelli, queste hanno una specie di grande scialle di cotone bianco che a volte si mettono anche sul capo. Altre d’origine più africana sono tutte bardate con coloratissime stoffe. Vicino a noi ci sono due vecchietti con il turbante e il bastone che sembrano venire da 2000 anni fa!
I primi 60 chilometri di strada attraversano una landa deserta, con pochi cespugli tra le pietre. In lontananza si intravedono spesso greggi di cammelli o di capre. Poi si inizia a salire, la strada è ripida ed il traffico di camion elevato, quindi si procede lentamente. Il paesaggio cambia, a metà strada si entra nelle nuvole, e con nostra sorpresa piove. Il paesaggio è più verde e sulle montagne si vedono le coltivazioni a terrazza di granoturco ed altri cereali.
La parte terminale del viaggio è tutto nella nebbia, la strada non ha guardrail e ogni tanto si intravedono dei profondissimi burroni. Arrivati finalmente sull’altopiano si sforano le nuvole e torna il cielo azzurro ed il sole. Il paesaggio è ancora semi-desertico, ma al posto dei rovi ci sono i fichi d’India.
Entriamo ad Asmara e sembra di aver cambiato continente e data al calendario: pare di essere in una cittadina del sud dell’Italia 30 anni fa. Per le strade, larghe e pulite, il traffico è composto carretti trainati dagli asini o da piccoli cavallini, da vecchie macchine italiane che da noi non si vedono neanche dagli sfasciacarrozze, da bus dimessi dalle aziende tranviarie di mezz’Italia e da nuovi fuoristrada con il simbolo UN (Nazioni Unite).
L’Eritrea ha appena firmato un trattato di pace con l’Etiopia, che mette fine a tre anni di guerra cruenta. Il trattato prevede il dislocamento di un contingente d’osservatori delle Nazioni Unite lungo il confine.
Dopo 3 anni e mezzo è un piacere andare in giro e chiedere informazioni in italiano! Le persone anziane lo parlano correntemente e sono compiaciute di poter sfoggiare la loro conoscenza della lingua. Gironzoliamo senza meta alla ricerca di un posto dove dormire. La città è più grande di quanto ci aspettassimo e ci facciamo una bella scarpinata per le stradine piene di negozi. Troviamo una pensione (Buon respiro) non è un granché, ma costa poco (5$ per la stanza) è in centro ed è abbastanza pulita e per una notte va bene.
Alle 15 arrivano le nuvole e con esse l’inverno. Ci avevano detto che ad Asmara faceva freddo, ma così non ce l’aspettavamo. Non siamo attrezzati! Non abbiamo né le scarpe (siamo con i sandali) né una giacca. Per fortuna è pieno di bar e pasticcerie dove fanno degli ottimi cappuccini. Passiamo il pomeriggio chiacchierando con la gente: una simpatica signora bolognese che vive ad Asmara da 30 anni e che ce l’ha a morte con gli Etiopici. Un signore eritreo che ha vissuto 25 anni in Italia, ora ha aperto un ristorante ed un’azienda di costruzione di infissi in alluminio e conta di tornare a vivere stabilmente ad Asmara. E’ gentilissimo: ci racconta un sacco di storie interessanti e poi si offre di accompagnarci in giro per la città.
Siamo stanchi morti, è calato il sole e fa un freddo cane. Ci rifugiamo in un ristorante italiano e ci consoliamo con un minestrone caldo.
Gita ad Asmara 2° giorno
E’ tornata l’estate. Fuori splende un bel sole tiepido e l’aria è limpida e fresca.
Lasciamo la pensione e iniziamo subito a girare per la città alla ricerca di incontri interessanti o di qualcosa da filmare e fotografare. In ogni strada due o più donne sono al lavoro per la pulizia giornaliera dei marciapiedi. Lo fanno con la stessa cura che userebbero per pulire la propria casa. Ecco perché la città è così pulita!
Iniziamo la giornata con un ottimo cappuccino poi ci incamminiamo verso la zona del mercato. Passiamo davanti alla cattedrale cattolica e un signore, in italiano, ci invita a fare un giro all’interno e sul campanile. Il campanile è alto 73 metri, e le scale per arrivare in cima sono appena state rifatte da due volenterosi falegnami tedeschi. Dall’alto si gode di una vista splendida. La città è molto estesa ed essendo l’aria tersa si vede gran parte dell’altopiano.
Il nostro accompagnatore ci mostra tutti i punti importanti della città con le relative storie associate. “Lì abitano i mussulmani, sono brava gente e con loro non abbiamo problemi.”
“Quello è il quartiere copto, sono cattolici come noi, solo che non mangiano la carne di maiale e di cammello, e le donne si fanno tatuare una croce copta sulla fronte.”
Gli diamo corda e continua.
“Il nostro problema sono gli etiopi che si sono installati nella nostra città e destabilizzano la nazione. Sono furbi, si sono spostati con gli eritrei e ormai è per noi impossibile mandarli via.”
Visitiamo la missione annessa alla cattedrale, salutiamo il frate francescano e poi ci mettiamo sui gradini della chiesa al sole a guardare il passaggio e a riflettere su quanto ci è appena stato detto.
Poi ci incamminiamo verso il mercato, c’è il sole e un’ottima luce per fare qualche ripresa, inoltre essendo sabato c’è una grand’attività e le donne sono tutte agghindate a festa. Indossano lunghi abiti e hanno un enorme foulard di tela bianco con i ricami negli angoli. Sotto il copricapo si possono scorgere delle bellissime acconciature. I neri e crespi capelli sono intrecciati fino alle orecchie in minuscole treccine aderenti al capo e poi sono lasciati liberi. Alcune donne sfoggiano anche pendagli e collane d’oro. C’e’ chi indossa una collana di pietre e oro appoggiata sulla testa o chi porta delle medagliette appese a due treccine di capelli che scendono per ogni lato dal centro della fronte. La giornata è bellissima e restiamo un’ora appostati dietro una colonna del mercato ad ammirare lo spettacolo e a cercare di scattare inosservati delle foto.
Il mercato è diviso in due sezioni: in una vendono la frutta e la verdura, nell’altra le granaglie. La seconda è la più interessante. Una lunga distesa di sacchi in piedi e con la parte superiore aperta, all’interno decine di differenti cereali e legumi secchi. Le compratrici si aggirano tra i sacchi, prendono qualche chicco in mano lo osservano e solo dopo un’accurata selezione, fanno la loro spesa.
Nel pomeriggio, quando ormai è ora di pensare al ritorno incontriamo una coppia di simpatici italiani; lavorano come professori alla scuola italiana di Asmara. Davanti ad un caffè passiamo una piacevole ora, loro ci raccontano i retroscena della vita di Asmara, noi le piacevolezze della vita in barca in giro per il mondo.
Sono le 15 è ora di andare a cercare il bus per il ritorno. Siamo fortunati: riusciamo a prendere due posti in un piccolo pullman moderno, con le poltrone imbottite e per niente rumoroso. La strada è al ritorno è spettacolare, le poche nuvole risalgono le vallate creando degli effetti particolari. Il viaggio scorre veloce, ci fermiamo solo verso le 18 in una landa desolata. Per i quattro passeggeri mussulmani è finito il digiuno giornaliero ed è tempo di preghiera. Si appostano in un piccolo spiazzo, confabulano per identificare la direzione della Mecca, poi srotolano il turbante lo stendono per terra e iniziano a pregare. Poi rompono il digiuno con una manciata di datteri, che ci offrono, e dell’acqua.
Arriviamo in barca alle 20, tutto è in ordine!