dal 27/07/97 al 2/08/97
Settimana 9
Sud della Sardegna
Domenica
Si parte alle 5 per la Sardegna. Il mare è molto mosso, con onda lunga residuo della burrasca; dopo qualche ora il vento cala e siamo costretti ad andare a motore.
Verso le 19 il mulinello della canna inizia a “cantare”: dopo quasi un mese qualcosa ha abboccato alla nostra traina. Iniziamo a recuperare il pesce, ma la cosa non è semplice in quanto sembra sia molto grosso; impieghiamo un quarto d’ora per portare il grosso tonno fino alla poppa della barca, dietro al tonno si vede una grossa ombra che non capiamo se sia un altro tonno od uno squaletto. Non avendo il retino recuperiamo il pesce sollevandolo, ma purtroppo è troppo pesante ed il filo del finale cede (ha un carico di rottura di 12 Kg). Rimaniamo molto male sia per aver perso la cena ed i pranzi dei prossimi giorni che per aver perso l’esca, Rapalà, un pesciolino colorato finlandese che, come ci aveva promesso la signora di Lipari che ce lo aveva venduto, funziona molto bene con i tonni.
Lunedì
Arriviamo nel pomeriggio a Villasimius, a sud di Cagliari, e ci ancoriamo in una splendida baia. La Sardegna si presenta bene, acqua azzurra limpidissima, spiagge bianche inframmezzate da massi di granito scolpiti dal mare. Proprio molto bella.
Martedì
Veleggiata di bolina con mare calmo fino al golfo di Teulada; arrivati nel golfo notiamo una baia con delle barche ormeggiate. Sono le sei e decidiamo di fermarci. Incredibile una baia senza segno di vita a terra, ne alberghi, né case né ombrelloni: ormai nel Mediterraneo è una cosa rara.
Mercoledì
Ci dispiace ripartire, al mattino la baia è ancora più bella; ci si potrebbe restare una settimana. Non c’è vento e andiamo a motore fino a Carloforte, nell’Isola di San Pietro.
La sera passeggiando per la cittadina entriamo in un piccolo negozio di artigianato locale. Lorenzo attacca bottone con una simpatica anziana signora che gestisce il negozio e le chiede cosa significa la parola “Tabarka” che compare un po’ dovunque. La signora si inorgoglisce e inizia a raccontarci per circa un ora la storia degli abitanti dell’isola di San Pietro. Riassumendo, questi erano pescatori genovesi che circa 250 anni fa sono stati trasferiti con le loro famiglie nell’isola di Tabarka, che si trova vicino alla costa Tunisina. Nel 1800 i tunisini hanno conquistato l’isola facendoli schiavi; i “tabarkini” hanno chiesto aiuto a Genova ma questa non li voleva più, allora hanno chiesto aiuto a Carlo Alberto di Savoia il quale li ha trasferiti nell’isola di San Pietro. Questa storia ci spiega alcune cose strane che avevamo notato, come il fatto che il piatto tipico è il cous cous ed il fatto che il dialetto locale non è sardo ma genovese
antico.
Giovedì
Alla mattina facciamo spesa e cosa più importante ci compriamo
un guadino (un grosso retino) con l’intenzione di non lasciarci scappare il prossimo tonno. Nel pomeriggio partiamo alla volta delle Baleari; è bolina stretta ed il vento è piuttosto forte con un bel mare: si preannuncia una traversata abbastanza dura.
Verso le 19 perdiamo di vista l’isola di San Pietro e ci coglie un po’ di commozione: abbiamo lasciato l’Italia!!!
Venerdì
La traversata continua, sempre di bolina. Ieri sera abbiamo messo per la prima volta lo yankee e la trichetta (due vele di prua) e la barca è andata fortissimo. Nel pomeriggio sentiamo al WHF Cagliari Radio che emette un avviso di burrasca per la zona di mare in cui stiamo navigando. A noi il mare pare essersi un po’ calmato e il cielo sembra aprirsi, ma onde evitare problemi di notte ci prepariamo per la burrasca. Cambiamo una vela issando lo yankee 2, e riduciamo la randa.
Sabato
Neanche a farlo apposta pian piano il vento cala, costringendoci a cambiare di nuovo la vela, poi verso le 3 cala del tutto e dobbiamo accendere il motore. Alle 10 il mulinello canta di nuovo, recuperiamo e vediamo un tonno piuttosto grosso. Questa volta abbiamo il guadino, ma non siamo molto abili ad usarlo e nel momento in cui cerchiamo di farlo entrare dentro con un guizzo il tonno si libera e se ne va. Forse non siamo troppo convinti, infatti quando vediamo gli occhi vitrei e la bocca spalancata del malcapitato pesce ci impietosiamo, salvo poi, piangerci addosso quando apriamo la scatoletta di tonno. Verso mezzogiorno avvistiamo terra, è Maiorca; navighiamo fino alle 16, quando arriviamo a Puerto de Campos; non è molto diverso dalla riviera romagnola, tanti alberghi e tanti turisti. Ci ancoriamo in una baia fuori dal porto. Dopo esserci riposati una mezz’ora, gonfiamo il gommone per andare in paese a cercare la dogana per fare le pratiche di ingresso. Non sapendo una parola di spagnolo ci prepariamo quattro frasi da sfoggiare con il doganiere, nel caso che non parli inglese. Dopo aver cercato per mezz’ora, troviamo un ufficio scalcinato della polizia. Facciamo la figura alla “due gusti is mej che uan” cercando di spiegare che siamo appena arrivati con la barca e che dobbiamo fare le pratiche di ingresso. Da qualche anno queste non sono più necessarie e quindi i poliziotti non riuscivano a capire quale fosse il nostro problema. Tutto si risolve con quattro risate.