Settimana 151
dal 16/04/00 al 22/04/00
Domenica
Ma quando arriviamo? Siamo stufi e stanchi, il morale è sempre più a terra. Il dialogo è ridotto al minimo. Anche oggi abbiamo la forza di cucinare e digerire un solo pasto a mezzogiorno.
Una sula (un grosso uccello marino) continua a girarci intorno ed a provare ad atterrare sui pannelli solari. Finalmente riesce, dopo aver evitato il pericoloso generatore eolico, a posarsi sui pannelli. Deve essere stanchissima, è aggrappata non troppo stabilmente (i pannelli sono scivolosi) e ci guarda ed osserva altezzosa.
Evidentemente la posizione non è comoda perché resiste 10 minuti e poi se ne và.
Verso sera un gruppo di delfini viene a giocare intorno alla nostra prua e a donarci un pizzico di allegria prima che cali la notte.
Lunedì
Niente groppi questa notte, ma dormiamo pochissimo a causa dei continui tonfi contro le onde.
Come al solito, quando si bolina in oceano, la vita a bordo è poco piacevole, ma per fortuna domani arriviamo.
Martedì
Alle 2 decidiamo di passare ad est di un esteso reef sommerso, non riusciamo a stringere il vento a sufficienza ed è più prudente passargli sottovento.
Poggiamo un po’ e subito la velocità della barca aumenta e la navigazione diventa più sopportabile. Poi però alle 5, passato il reef, dobbiamo stringere di nuovo il vento per cercare di non scadere troppo e mancare l’atollo di Salomon.
Siamo talmente stanchi che dobbiamo mettere la sveglia per evitare di addormentarci e finire sulla barriera corallina. Sorge il sole timido tra grossi nuvolosi, dell’atollo neanche l’ombra.
Poi verso le 9 avvistiamo le prime palme che pian piano diventano più grandi fino a che non si vede anche la sottile striscia di sabbia che le ospita. Il momento è magico, come sempre quando si avvista terra dopo una dura traversata, e come per incanto spunta anche uno splendido arcobaleno.
Abbiamo voglia di arrivare, smettiamo di fare gli sportivi e di bolinare contro corrente, accendiamo il motore per guadagnare un po’ di velocità e per mantenere un angolo migliore rispetto al vento.
Due ore per fare le ultime 5 miglia, solo alle 11 siamo davanti alla passe e ci prepariamo ad entrare.
“Passate sulla sinistra, a pochi metri da un pezzo di corallo emerso”
Questa è la raccomandazione che Pascal, incontrato a Male, ci ha dato il mese scorso per evitare le teste di corallo che disseminano la passe. Appena dentro il “solito” effetto atollo: la laguna calma e azzurra, l’acqua cristallina che permette di vedere nuvole di pesci, la corona di isolotti di sabbia bianchi coperti di un’intensa vegetazione verde smeraldo.
Dopo una settimana di bolina sembra di essere in un mondo migliore!
Salomon è l’atollo più piccolo dell’arcipelago delle Chagos, che sono un gruppo di isolette e reef sperduti nel mezzo dell’Oceano Indiano e sono tutti disabitati ad eccezione di Diego Garcia che è sede di una base militare strategica americana.
L’arcipelago, facente parte del BIOT (British Indian Ocean Territory), era abitato fino agli anni 70, quando gli inglesi affittarono l’atollo di Diego Garcia agli Stati Uniti per farci una base aerea.
Gli abitanti che si erano installati nell’arcipelago qualche secolo prima e che vivevano raccogliendo le noci di cocco ed estraendo l’olio, per motivi di sicurezza (circola anche la voce che ci fosse l’intenzione di fare degli esperimenti atomici stile Mururoa) furono deportati in massa e rilocati nelle loro isole di origine: le Mauritius. Attualmente le isole sono state dichiarate parco marino e grazie al loro isolamento sono uno dei pochi paradisi incontaminati rimasti sulla terra.
Appena dentro, il mulinello inizia a cantare. “Oh no, un barracuda” Dove non c’è la ciguatera (e apparentemente nell’Oceano Indiano non c’è) è commestibile, ma a noi non piace il sapore. Lo rigettiamo in acqua.
Ci sono 5 barche ancorate subito vicino alla passe, sono tutte tedesche. Dato che le vediamo rollare, a causa dell’onda lunga che entra dalla passe e che siamo stanchi e vogliamo un ancoraggio tranquillo in cui poter dormire due giorni di seguito proseguiamo fino all’ancoraggio migliore che è nell’angolo sud dell’atollo.
Lo raggiungiamo dopo aver evitato le numerosissime teste di corallo che disseminano la laguna. Che sorpresa! Ci sono una quindicina di barche, tra cui un paio note: La Bamba e Cannelle.
Gettiamo l’ancora e increduli ci guardiamo intorno. L’atollo è piccolo e si riescono a vedere tutti gli isolotti che lo delimitano e che creano una piacevole impressione di protezione.
L’eccitazione per l’arrivo, ci fa dimenticare la stanchezza, così rendiamo la barca abitabile (dopo 6 giorni di bolina il casino all’interno è indescrivibile!) e poi ci mettiamo in “assetto palafitta”. Ovvero, via le vele dal ponte, via gli strumenti di navigazione, fuori il tendalino raccogli acqua.
Poi una bella doccia e un piatto di spaghetti alla carbonara con una birra fresca ci rimettono in sesto.
Nonostante la stanchezza profonda abbiamo difficoltà a prendere sonno, siamo felici di aver raggiunto le mitiche Chagos!
Mercoledì
Ieri abbiamo gettato l’ancora sul fondo corallino, ma non è piacevole, sia per il rumore che la catena provoca quando striscia sia soprattutto per i danni provocati alla barriera.
Così la prima attività del mattino è di trovare una grossa testa di corallo, avvolgerci una robusta catena intorno e fare un corpo morto.
Andiamo a terra. C’è l’antico villaggio, i resti di una fabbrica per la produzione dell’olio di cocco e migliaia di palme.
“Abbiamo nascosto tutto, domani dovrebbero venire i marines inglesi a controllare”
ci dice una ragazza francese, Giudith, che abbiamo incontrato a Darwin. Poi ci spiega che quando arrivano i marines, distruggono tutto quello che trovano di stabile a terra, applicando alla lettera il regolamento del parco.
Sembra che la vera ragione per questo strano comportamento è che i vecchi abitanti delle isole Chagos, abbiano intentato una causa contro lo stato inglese, chiedendo a viva voce il rientro e considerando un’ingiustizia il fatto che il “popolo delle barche” possa vivere indisturbato in questo paradiso e loro no.
Ci informiamo per l’acqua: c’è un pozzo di acqua leggermente salmastra, ma ottima per fare il bucato e farsi delle lunghe docce, e alcune cisterne (alquanto arrugginito) che raccolgono l’acqua piovana.
Ora la stanchezza si fa sentire, rimandiamo a domani un giretto esplorativo e ce ne torniamo in barca.
Giovedì
“Arrivano gli inglesi!!”
Alle sette vediamo una nave rossa al largo della passe, e in pochi minuti arrivano 2 enormi gommoni da sbarco (con 2 potentissimi motori) carichi di militari.
Sono molto formali, ma tutto sommato gentili, si assicurano anche che nessuno a bordo abbia bisogno di un medico. Ci chiedono i documenti, ci stampano il passaporto e, dietro l’esborso di 80$ ci rilasciano un permesso che ci consente di stare 3 mesi in paradiso.
Non ci sentiamo ancora a nostro agio con gli equipaggi delle altre barche, non conosciamo quasi nessuno ed il clima sembra un po’ da paesino di montagna. I francesi fanno comunella con i francesi, i tedeschi con i tedeschi e gli anglosassoni con gli anglosassoni.
Forse è un pregiudizio, comunque oggi siamo ancora stanchi e rimandiamo a domani la vita sociale.
Venerdì
Oggi è giorno di bucato.
A terra c’è un pozzo da cui si attinge, con un secchio legato ad una lunga corda, l’acqua. Un cartello scritto a mano, avverte che l’acqua è contaminata e non va bevuta, ma per lavare è ottima e insolitamente abbondante.
L’unico inconveniente è che l’area del pozzo, essendo particolarmente umida, pullula di fameliche zanzare, che nonostante le abbondanti dosi di repellente, banchettano con il nostro sangue.
Mentre impegnati a lavare, si presenta Ive, un solitario francese che naviga in lungo ed in largo per l’oceano Indiano da più di dieci anni. Ci colpisce per una cosa, è il primo francese che abbiamo incontrato che si sforza a parlare inglese, nonostante sappia che noi parliamo la sua lingua.
Come tutti i solitari, quando ne ha la possibilità è molto loquace e ne approfittiamo per “spillargli” un sacco di informazioni sul Madagascar e le Seychelles.
Nel pomeriggio ci andiamo a procurare la cena in alcune teste di corallo. La pesca subacquea è strettamente proibita alle Chagos, però la praticano tutti (o almeno quelli che ne sono capaci!). Il problema è che, vista l’assenza di negozi e la mancanza di freezer riforniti, bisogna pescare tutti i giorni e se non si pesca con il fucile, bisogna fare la traina che comporta dei grossi consumi di benzina per il fuoribordo.
Dato che le nostre riserve di benzina sono scarse, per mangiare facciamo i fuorilegge. Però visto che alcuni equipaggi, per lo più anglosassoni e proprietari di grosse barche con uno o più freezer pieni di carne, sono legalisti bisogna cercare di non dare troppo nell’occhio.
La testa di corallo sopra cui ci immergiamo è posizionata in una posizione particolare dell’atollo, tra due isolette con la sola barriera corallina che la divide dall’oceano. Le grosse onde che si infrangono sulla barriera riversano grandi quantità d’acqua nella laguna, il che fanno si che questa sia particolarmente trasparente.
La visibilità è eccezionale, e probabilmente a causa del continuo ricambio d’acqua pulita, i coralli sono in ottima salute e pieni di colori. Con qualche rimorso, ci peschiamo una bella cernia, e poi depositato il fucile sul gommone, continuiamo ad ammirare i fondali ed i grossi branchi di pesci.
Aperitivo a bordo di Sara, la barca battente bandiera di Hong Kong, di Mercedes e Ronan. Lei inglese, lui francese (bretone per la precisione), più o meno nostri coetanei, avevano una azienda ad Hong Kong, che hanno venduto prima della cessione della colonia alla Cina e ora girano il mondo su una barca più piccola della nostra.
Ci fanno assaggiare dell’ottima birra di ginger, prodotta in barca con la seguente ricetta:
1kg di zucchero, 10 lt di acqua, una grossa radice di ginger (zenzero in italiano) resa a poltiglia, un cucchiaio di lievito di birra, la buccia ed il succo di un limone.
Il composto va fatto fermentare per una settimana circa (dipende dalla temperatura) poi filtrato ed imbottigliato.
Noi abbiamo portato due bottiglie della birra di nostra produzione. Al momento dell’assaggio l’espressione di Ronan, che di solito parla sempre in inglese è eloquente:
“Putan, ce bon!!”
Finiamo la serata sulla Bamba, di Alessandro, insieme a Mercedes e Ronan dove la cernia pescata oggi si trasforma in un ottimo sugo.
Sabato
Il tempo è bellissimo, con un cielo completamente sgombro di nuvole e l’aria secca. Ne approfittiamo per completare le pulizie di Pasqua, ovvero mettere ordine in barca nei posti dove solitamente non ci si mette mai il naso.
Alle 16 siamo invitati ad un party in spiaggia organizzato per festeggiare i 30 anni di matrimonio di una coppia di navigatori francesi.
La suggestiva cerimonia si svolge all’interno dei resti della chiesetta del villaggio e sono presenti gli equipaggi di tutte le barche ancorate nell’atollo. Terminata la “cerimonia” il party ha inizio. Su un lungo tavolone, fatto con delle assi appoggiate su due cavalletti, ogni partecipante ha depositato il piatto preparato che viene condiviso da tutti.
Come si può immaginare i cibi che vanno per la maggiore sono il pesce ed il riso, preparati in tutte le salse. Una coppia di neozelandesi, con una barca di 18 metri ed un freezer rifornito, hanno preparato un pollo arrosto, che sparisce in un batter d’occhio.
I dolci sono per lo più a base di cocco, che sull’isola non manca. Le bevande sono o rum del Madagascar offerto dalle barche provenienti da lì (in Madagascar il rum costa circa 2000 lire al litro), oppure bevande alcoliche prodotte in barca facendo fermentare le cose più strane.