Settimana 121
dal 19/09/99 al 25/09/99
Domenica
Si è alzato un mare corto e ripido al traverso e la navigazione è diventata più scomoda.
Durante la notte abbiamo incrociato parecchie navi e un paio di volte abbiamo dovuto modificare la rotta per evitarle. La giornata scorre via senza nessun evento particolare che ci distolga dalla noia dei turni di guardia. Teniamo una media di quasi sei nodi.
Lunedì
Il vento è girato più in poppa ed è diminuito di intensità. Togliamo la randa e andiamo con il solo genoa tangonato. La velocità è diminuita, ora siamo intorno ai cinque nodi.
Abbiamo fatto un po’ di programmi dettagliati per la navigazione in Indonesia e ci siamo accorti che non abbiamo tanto tempo, così stare qui a navigare ed ad annoiarci ci sembra di sprecare dei giorni. Verso sera il vento gira di nuovo più a sud, issiamo la randa e la navigazione ritorna confortevole.
Il tramonto è veramente spettacolare, non c’è una nuvola e l’aria torrida del deserto crea degli strani giochi di luce con il sole.
Martedì
E’ proprio come l’Adriatico, ci sono anche le mucillagini! Lunghe strisce di materia organica rossiccia si allungano nel mare sempre più piatto, seguendo le correnti.
Laura del Cush, che sono arrivati a Darwin ieri, ci dice che lì, per entrare in marina bisogna prima farsi alare la barca e farsi lavare con l’acqua calda! E’ uno scherzo!!!
No, è vero! nei marina ci sono state delle proliferazioni di cozze provenienti dalle Fiji, quindi tutte le barche devono essere trattate prima di poter entrare. Per fortuna pagano loro l’alaggio, solo che bisogna mettersi in lista d’attesa. Il cielo è sempre sereno, il sole scotta e il vento sta calando. Ora ci trasciniamo a quattro nodi.
Mercoledì
Siamo quasi arrivati!
Imbocchiamo il grande golfo di Van Diemen e immediatamente il vento muore. L’acqua è bassa, intorno a 10 metri e di colore marrone. Non abbiamo il timone automatico, quindi facciamo dei noiosissimi turni al timone di un ora.
Alla fine del golfo dobbiamo passare tra due isolette, in una strettoia larga mezzo miglio, in cui ci possono essere correnti fino a quattro nodi. Dobbiamo calcolare l’orario della corrente favorevole.
Le tavole delle maree che abbiamo sul computer ci dicono l’orario dell’alta e della bassa marea con questi dati e la tabellina che si trova sulla carta nautica che dice l’intensità e la direzione della corrente in funzione delle ore prima e dopo l’alta marea ricaviamo l’orario ideale del passaggio.
Siamo in perfetto orario, passeremo dalla strettoia alle tre di notte e dovremmo avere tre nodi di corrente favorevole.
Giovedì
Il passaggio è da brivido, non c’è la luna e a parte le tre luci che segnalano le isolette, navighiamo nello stretto canale a otto nodi nel buio nero come la pece fidandoci del GPS e dei rilevamenti dei fari.
Per fortuna dura poco, alle quattro i pericoli sono scampati e incominciamo a vedere l’alone delle luci di Darwin. Sono le sei quando l’ancora del Walkabout cade in acqua nell’area di quarantena del porto di Darwin. Così come ci hanno indicato per radio le autorità aspettiamo che il custom “apra i battenti” e ci diano le istruzioni su dove e come fare le pratiche di ingresso.
Alle 7.30 finalmente rispondono alla nostra chiamata sul vhf e ci dicono che dobbiamo andare a Culen Bay Marina.
Un marina a 2 ml di distanza, che ha un canale d’ingresso stretto e non segnalato tra una scogliera e un banco di sabbia. Proviamo a chiamare il responsabile del marina, ma noi siamo cotti, lui parla un inglese assolutamente incomprensibile e con quel poco che riusciamo a capire dalle sue istruzioni probabilmente ci confondiamo ancora di più le idee.
C’è un palo giallo a 15 metri dalla scogliera ed alcune boe cui non riusciamo a dare un senso. La scogliera è minacciosa e per istinto ci teniamo il palo sulla destra e entriamo lentamente.
La prua del Walkabout si inclina in avanti: “Indietro a tutto gas siamo spiaggiati”. Ne veniamo fuori facilmente. Torniamo indietro e proviamo più a sinistra, vicino ad una boa. Stessa cosa, l’acqua è torbida e vediamo la sabbia solo quando ci siamo già sopra. Riproviamo ancora più a sinistra e finiamo sempre sul banco di sabbia. “C’è’ un motoscafo che si sta dirigendo qui, aspettiamo per vedere dove va” Con nostra sorpresa si infila nello stretto spazio tra il palo e gli scogli. Ecco dov’è il canale!
Finalmente ci ormeggiamo alla banchina esterna alle chiuse che immettono nel marina e veniamo accolti da quattro ufficiali della dogana e uno della quarantena. In Australia vige un severo regolamento circa l’importazione di generi alimentari, formaggi e carni suine sono subito sequestrati.
Noi abbiamo ancora un chilo di parmigiano e mezzo chilo di prosciutto crudo (entrambi ancora sotto vuoto) e dato che in Australia staremo pochi giorni e che non abbiamo intenzione di portarli a terra, non ci sogniamo neanche di farceli sequestrare. Li nascondiamo nel gavone delle vele.
La visita dell’ufficiale della quarantena è rapida, ci sequestra alcune cipolle e patate e se ne va contento (costo della visita di 20 minuti 120 $ australiani!!). Poi arrivano quelli del custom, sono tre e ci danno il solito pacchetto di scartoffie da compilare e intanto iniziano a guardare in giro in barca e a fare domande.
Quindi arriva una donna con un cane, è una visita antidroga. Ci fanno scendere sulla banchina e per 30 minuti il cane scorazza per tutta la barca. La donna gli apre tutti gli armadietti, i gavoni e lui ci mette il naso dentro.
Noi fuori a passeggiare nervosamente, temendo che il cane inizi ad abbaiare per l’odore del prosciutto. Per fortuna il cane non è addestrato per trovare parmigiano e prosciutto e siamo salvi.
L’interno della barca è un casino, armadietti aperti con metà roba all’esterno, cuscini rovesciati e peli di cane ovunque. Ma non è finita! Non contenti ci chiedono di aprire il tappo di ispezione del serbatoio dell’acqua. Questo tappo è fermato da una cinquantina di bulloni e sembra esercitare un’attrazione irresistibile su tutti i doganieri del mondo.
Lorenzo prova a dirgli che è un lavoro lungo, ma non c’è niente da fare, sono convinti che siamo dei narcotrafficanti, e che la droga è nel serbatoio.
Tirate fuori le chiavi inglesi inizia il lavoro di smontaggio. In barca ci sono 35 gradi si suda e sono necessari 30 minuti per aprirlo. Nel serbatoio chiaramente non c’è niente.
Per fortuna è anche pulito e, gli imbarazzati doganieri, ci fanno anche i complimenti per la pulizia. Erano convinti di trovare qualcosa, ma ormai hanno capito che non abbiamo niente (a parte il prosciutto ed il parmigiano!) e per fortuna ci risparmiano lo smontaggio dell’altro serbatoio.
Si offrono di aiutarci a rimettere a posto, ma ci hanno proprio stufato e non vediamo l’ora di levarceli dai piedi. Se ne vanno, dopo averci sequestrato la nostra fionda, in Australia è considerata un arma, ce la ridaranno quando partiamo.
Ora c’è la bassa marea e nella conca dove siamo ormeggiati non c’è un filo d’aria e fa un caldo infernale, all’interno del marina non possiamo entrare se non dopo aver fatto “il bidè” bollente alla barca (per uccidere le uova di cozza infestanti). Ce ne andiamo esausti e scocciati per il benvenuto a cercare un posto dove ancorarci con la barca completamente sottosopra.
A Darwin ci sono delle escursioni di marea impressionanti, 9 metri con la luna piena, e quando ci si ancora bisogna calcolare bene che con la bassa marea non si finisca in secca.
Ora la marea è debole, ci sono “solo” 5 metri di escursione, e ci ancoriamo davanti allo yacht club su un fondale che dovrebbe essere sufficiente. Quando le maree cambiano la baia di svuota o si riempie e ci sono delle correnti pazzesche, che fanno girare le barche anche controvento, creando la permanenza a bordo poco confortevole.
A terra troviamo Claudio e Laura del Cush ad aspettarci, che visto il nostro stato e quello della barca ci invitano a pranzo per un delizioso piatto di insalata mista, di cui ci eravamo ormai dimenticati il sapore.
Nel pomeriggio andiamo subito in città a fare i giri più urgenti: ordinare i pezzi per il timone automatico e fare aggiustare il motorino del salpancore.
Venerdì
Darwin è una città moderna con palazzi di vetro e grandi shopping center. Per noi è l’ultima città “occidentale” per i prossimi mesi o addirittura anni, quindi ne approfittiamo per fare acquisti delle cose che presumiamo faremo difficoltà a reperire in seguito: pezzi di ricambio per il motore, piccoli accessori per la barca e per le vele, olio di oliva, pasta, carte e guide nautiche per l’Oceano Indiano ed il Mar Rosso, ecc..
In città fa molto caldo mentre l’aria condizionata all’interno dei negozi o degli uffici è sempre al massimo, uno sbalzo di temperatura di 20 gradi e ogni volta ci prendiamo delle “staffilate” nel collo da rimanerci secchi.
Sabato
Insieme a Laura, Claudio e Ginevra andiamo in un grosso centro commerciale dove ci sono due enormi supermarket e centinaia di negozi.
Girare con un carrello in mezzo a scaffali strapieni di ogni ben di dio, dopo mesi di scambi (una vecchia maglietta per due papaie ed una conchiglia!) è veramente traumatico e dopo mezz’ora siamo già stufi. Però poi troviamo lo scaffale (enorme, un intera parete) con tutto il necessario per fare la birra e allora ci lasciamo andare.
Riempiamo un carrello con il bidone fermentatore e una ventina di barattoli di preparato per fare quasi 500 litri di birra.
Nei prossimi due anni navigheremo quasi sempre in nazioni musulmane o in isole deserte, quindi facciamo scorta. Non abbiamo mai provato a fare la birra, ma se per caso non ci viene bene, possiamo sempre vendere al “mercato nero” i barattoli agli australiani e neozelandesi quando saremo alle Chagos o in Mar Rosso!
Quando torniamo stanchi e stufi per la vita di città troviamo un brutta sorpresa. Il gommone con l’alzarsi della marea si è incastrato sotto un pontile di travi di acciaio e ora è sommerso schiacciato sotto l’enorme peso. E’ ancora gonfio indice che non si è tagliato. Per liberarlo siamo costretti a sgonfiarlo e poi rigonfiarlo sul pontone.
Arriviamo in barca che è già buio. Siamo esausti, il pozzetto è pieno di tutti i sacchetti della spesa. Questa notte la marea si abbasserà di 7,5 metri, e dai nostri calcoli sicuramente toccheremo il fondo. Adesso, però, è troppo tardi per muoversi meglio restare qui confidando nel fondale morbido e fangoso in cui la chiglia dovrebbe sprofondare senza problemi.
Alle 20 l’ecoscandaglio segna 1.5 metri, siamo già “infangati” per 30 centimetri e la marea deve calare altri 70 centimetri. Siamo immobili e diritti, non c’e’ vento. Ore 23 diamo un’occhiata di controllo, il timone gira, ma a fatica il fango è arrivato fino a li. “Ehi, ma guarda quella barca svizzera!”.
Una grossa barca svizzera ancorata vicino a noi è invece visibilmente sbandata su un lato. Sono ancorati al margine del canale dragato e lì evidentemente il fondale degrada. Restiamo in pozzetto a vedere l’ecoscandaglio che cala. Improvvisamente sulla barca accanto a noi scoppia l’agitazione, si saranno svegliati rotolando giù dalla cuccetta. Tutte le luci si accendono e i due a bordo iniziano ad andare su e giù per il ponte. L’acqua è ormai alla falchetta.
Alle 23.30 un po’ per il caldo un po’ per la tensione usciamo in pozzetto a rinfrescarci e a verificare la situazione. C’è quasi la luna piena che illumina una scena piuttosto impressionante. La barca svizzera è inclinata di 45° e l’impetuosa corrente di marea che gli scorre sulla coperta del lato inclinato. Sono in pozzetto con le luci ma non hanno nient’altro da fare che aspettare che la marea risalga speriamo che non si ribaltino!
Il nostro ecoscandaglio segna 90 cm e il Walkabout è dignitosamente dritto e immobile come se nulla fosse.