Settimana 109 – dal 27/06/99 al 03/07/99
Domenica
Facciamo un giro intorno all’isola principale con il gommone. Scopriamo delle baiette incantate in cui la presenza umana non ha ancora lasciato il segno. Ci ancoriamo all’interno di una delle piccole baie e stesi all’interno del gommone, cullati dalle onde ascoltiamo i rumori della foresta.
E’ talmente bello che ci appisoliamo; ci risvegliamo dopo un’ora belli cotti dal sole. Cena sul Cush dove prepariamo gli spaghetti con le vongole trovate ieri.
Lunedì
Ci prepariamo a partire alla volta di Suva, ma prima di tirare su il gommone facciamo un’ultima esplorazione. Un roccione proprio a fianco del nostro ancoraggio ci copriva la vista di una splendida spiaggetta di sabbia bianchissima incastonata tra alte rocce nere e la folta vegetazione.
Ci piange il cuore andarcene, ma se ci prende la guardia costiera fijana ci arresta, quindi ci accontentiamo e a mezzogiorno lasciamo a malincuore la splendida Yagasawa Cluster.
C’è un vento leggero da sud e dato che il timone automatico non funziona, andiamo a vela, con il pilota a vento, a tre nodi. Verso sera il vento cala completamente e ci tocca accendere il motore e timonare.
Pensiamo di fermarci a Totoya, un’altra isola proibita, giusto per riposarci dopo una notte al timone.
Martedì
Avvistiamo l’alto cratere dell’isola all’alba, ma si è alzato un vento teso e pensiamo di approfittarne. Inoltre Totoya è abitata e il rischio è più alto.
Così, facendo colazione (e avendo lasciato finalmente il comando al pilota a vento) ci ammiriamo il panorama con una bellissima luce. I resti di un alto vulcano sono coperti da una coltre di erba verde, interrotta da lucide rocce nere, con lo sfondo scuro per le nuvole minacciose e la luce che filtra dalle nuvole.
Abbiamo allungato un po’ la strada, ma ne valeva la pena! Il vento rinforza e ora lo abbiamo in poppa piena, si rolla ma andiamo forte.
Mercoledì
Arriviamo davanti all’ingresso del porto di Suva alle quattro del mattino stanchi morti.
Con il radar si vedono chiaramente i frangenti che rompono sui bordi della passe e una volta trovato l’allineamento sulla montagna, avendo le coordinate di un punto all’interno l’ingresso è facile.
Ci ancoriamo nella zona di quarantena e crolliamo subito in cuccetta. Vogliamo sbrigare subito le pratiche di ingresso, quindi alle 8.30, avvisati anche da un comunicato della dogana al VHF, insieme con altre cinque barche ci spostiamo al molo di quarantena.
Le pratiche sono complicate e particolarmente demenziali!
Ci fanno riscrivere gli stessi dati su almeno 10 differenti moduli e come se non bastasse dopo aver fatto gli scribacchini per un ora ci comunicano che tre ufficiali della dogana verranno a fare un’ispezione in barca.
“Dovete capire, ultimamente a Suva ci sono state molte rapine a mano armata e pensiamo che le armi arrivino con gli yacht”. Salgono a bordo tre ragazzotti ognuno armato di un’enorme cacciavite ed uno specchietto montato su un bastone per guardare all’interno degli armadietti.
I tre ci fanno venire subito i nervi. Sono più che altro curiosi e rovistano all’interno di tutti i cassetti e gli stipetti chiedendoci curiosi cosa serve questo o quell’altro. Noi, per evitare storie con la Quarantena, abbiamo nascosto del prosciutto e del parmigiano nel gavone delle vele in pozzetto, quindi per proteggerli Annalisa ci sta seduta sopra con Ginevra mentre Lorenzo cerca di seguirli all’interno.
Quando gli chiedono di aprire il serbatoio dell’acqua (ci sono da smontare 50 bulloni per rimuovere il coperchio d’ispezione” li guarda malissimo e gli dice che se lo possono scordare.
Finalmente capiscono di non essere molto graditi e ci lasciano: la barca è completamente sottosopra siamo stanchi e disgustati per il benvenuto. Ci ancoriamo davanti allo Suva Yacht Club dove ritroviamo “Felice”,la barca degli amici norvegesi Thomas e Boya che abbiamo conosciuto in Polinesia.
Nel pomeriggio andiamo in città per sbrigare le solite faccende:cambiamo i soldi in banca, ricerchiamo un internet café per leggere la posta, facciamo la spesa di frutta e verdura fresche e un salto all’ufficio turistico per vedere se c’è qualche cosa di interessante in giro.
Il primo impatto con Suva, che abbiamo visitato 12 anni fa e ricordavamo molto carina, non è positivo. C’è traffico e smog, la città è cambiata ci sono molti più negozi moderni e molto meno cose caratteristiche, la gente ha lo stesso ritmo frenetico di qualsiasi città occidentale. Ormai la maggioranza della popolazione cittadina è di origine indiana e abbiamo trovato gli indiani molto meno simpatici dei melanesiani.
Spesso sono avidi e tentano sempre di fregarti, specialmente i taxisti, con i quali bisogna sempre contrattare il prezzo prima della corsa per evitare richieste assurde.
Giovedì
Giornata lavorativa. Abbiamo una lunga lista di cose da fare o acquistare, che abbiamo accumulato dopo un anno di carissima Polinesia.
Tra l’altro abbiamo le batterie dei servizi che sono praticamente morte, dobbiamo aggiustare il timone automatico, fare revisionare la zattera di salvataggio, acquistare l’antivegetativa da dare quando andremo in cantiere, rimediare e fare le copie delle carte nautiche che ci mancano, ecc…
Giriamo come i matti tutto il giorno con risultati non entusiasmanti. La fabbrica di batterie che importa le batterie “deep cycle” che cerchiamo ha dei prezzi alti ed il manager è un tipo untuoso e poco simpatico: rimandiamo l’acquisto.
Prendiamo appuntamento per la revisione della zattera di salvataggio e ci facciamo fare un preventivo per l’acquisto della antivegetativa. Nota positiva, alla Telecom Fiji la connessione a internet costa pochissimo ed è pure veloce.
Alle 17 torniamo al Royal Suva Yacht Club (RSYC) dove c’è tanta gente, tutti gli equipaggi delle decine di barche ancorate nel porto, la birra costa poco e c’è la possibilità di socializzare, scambiarsi informazioni e carte da fotocopiare.
Altra nota positiva, allo RSYC c’è anche la lavatrice a gettoni, così mentre socializziamo facciamo anche il bucato!
Venerdì
Ci svegliamo per i bruschi movimenti causati da raffiche violentissime. Piove il cielo è plumbeo e l’ancoraggio è animatissimo. CI sono almeno cinque o sei barche alle prese con l’ancora che ara, o alla ricerca di un posto più riparato per ancorarsi.
Noi siamo ancorati in 2 metri di profondità, la nostra ancora tiene benissimo e facciamo colazione guardando gli altri che arano!! Viste le raffiche e i poco affidabili ancoraggi dei nostri vicini Annalisa resta di guardia e Lorenzo va a fare i giri in città. Piove tutto il giorno e conferma le notizie che avevamo, a Suva piove spesso e volentieri.
Sabato
E’ sabato, giornata di mercato, il tempo sembra essersi ristabilito, anche se i nuvoloni sono sempre in agguato. Il mercato è uno spettacolo entusiasmante. Un’abbondanza di colori di frutta e verdure per noi inusuale e finiamo per girare “ubriachi” tra le centinaia di bancarelle. Al piano superiore vendono le spezie in sacchi traboccanti e le radici della yaquona da cui si ricava la kava.
La kava si ottiene macerando le radici della yaquona (che è una pianta della famiglia del pepe) in acqua e ha un leggero potere narcotico. E’ la bevanda tradizionale fijana e, ancora oggi, è al centro della vita comunitaria. E bevuta con delle scodelline ricavate dalle noci di cocco ed ha un colore biancastro poco invitante. Compriamo un po’ di yaquona, perché è considerato un ottimo regalo (savusavu in fijano) quando si va a fare visita ad un villaggio.
Per pochi dollari facciamo il pieno di frutta e verdure e consigliati dalle simpatiche venditrici compriamo anche delle strane verdure che non conosciamo.
Torniamo in barca stracarichi e dato che c’è il sole riusciamo anche ad asciugare il bucato, che giace ammuffito nei secchi nell’attesa di tempo secco.