dal 05/07/98 al 11/07/98
Settimana 58
Tahuata, e Daniel Bay a Nuku Hiva
Domenica
Oggi ci muoviamo. Ci aspettano ben sette miglia per arrivare alla baia Hana Moe Noe a Tahuata, un’isola situata poco più a sud di Hiva Oa.
Il tempo si è rimesso ed è una bellissima giornata. Tahuata è meno spettacolare delle altre isole Marchesi, gli mancano gli alti picchi, ma non per questo è meno bella. E’ formata da morbide e verdissime colline e la baia è spettacolare, la nostra guida afferma che è una delle più belle del Pacifico.
La baia è perfetta, spiaggia bianca contornata da palme da cocco e ben protetta dai venti dominanti. L’acqua è cristallina e piena di pesci e come scopriamo quando andiamo ad esplorare i fondali con la maschera, ci sono anche gli squali, ma sono piccoli e sembrano inoffensivi.
Nel pomeriggio arriva anche Maracla, ceniamo insieme da noi.
Lunedì
Qualche lavoretto in mattinata, poi andiamo in gommone nell’estremità nord della baia a fare pesca subacquea con Peppino. Qui le montagne scendono ripide nel mare creando una bella scogliera piena di pesci.
L’acqua è subito molto profonda, 20-25 metri, ed essendo limpidissima permette ai pesci di vederti e di spostarsi con largo anticipo. Comunque lo spettacolo dei pesci colorati è fantastico e sembra di essere immersi in un caldo acquario o in un classico documentario sulle acque tropicali.
Peppino, che da buon siciliano è un ottimo pescatore, prende un carangide di un paio di chili. Subito arriva lo squalo attirato dal sangue,e noi ci ritiriamo sul gommone e gli lasciamo il campo. Tornando in barca ci fermiamo a salutare una simpatica coppia di arzilli vecchietti australiani.
Enrye Ginette hanno almeno 140 anni in due, e da undici anni gironzolano per il Pacifico a bordo del loro catamarano. L’anno scorso hanno fatto la traversata dalla Nuova Zelanda al Cile nei 40 Ruggenti, cioè alla latitudine delle grandi tempeste del Pacifico Australe, poi dopo aver passato l’estate australe nello stretto di Magellano, ora sono di ritorno in Australia.
Ci raccontano che nella traversata tra l’Isola di Pasqua e le Marchesi sono stati letteralmente investiti da una grossa balena, che li ha speronati sul fianco. Ci mostrano il danno causato, è impressionante e ci vengono i brividi a vederlo: il piano della cuccetta di poppa, che fa anche da rinforzo longitudinale, non ha retto ed è stato praticamente divelto. Per fortuna il robusto scafo ha resistito non hanno avuto alcuna falla.
L’urto con le balene è una delle principali cause di affondamento per le piccole barche in oceano ed è anche uno dei principali argomento di discussione tra gli equipaggi. Sembra che i grossi maschi scambinolo scafo della barca per un altro maschio e lo attacchino a testate. Ognuno ha il suo rimedio per evitare questi brutti incontri: c’è chi dice di accendere il motore in caso di avvistamento, altri dicono di tenere acceso l’eco-scandaglio, i più facinorosi consigliano di vuotare una bottiglia di varechina nel WC, dato che sembra che questi grossi bestioni non amino il suo odore.
Noi teniamo acceso l’eco-scandaglio e speriamo! Torniamo in barca e sistemiamo la barca per partire.
Martedì
Sveglia alle 4 e alla luce della luna piena ci avviamo verso Ua Pou che dista 65 miglia. Il mare è calmo ed il vento dopo poco ci abbandona e siamo costretti a procedere a motore.
Alle 16.30 arriviamo al motu (isoletta in polinesiano) che si trova sull’angolo sud ovest di Ua Pou e iniziamo a costeggiare la costa ovest dell’isola.
Poco più a nord del motu c’è un bel faraglione alto 200 metri, e illuminato dal sole calante prende dei colori che ci ricordano i colori dei picchi dolomitici. Lo spettacolo dell’isola alla luce del tardo pomeriggio è da lasciare senza parole.
Alti picchi neri, parzialmente coperti di una densa vegetazione verde, valli scoscese e non si vede traccia di presenza umana;l’atmosfera che si respira è di terra selvaggia e fuori dal mondo. Il mare al riparo dall’isola è piatto e le forti raffiche ci fanno quasi planare a 8 nodi e ci permettono di arrivare all’ancoraggio giusto un attimo prima del calare della notte.
Ci ancoriamo davanti ad un villaggio di pescatori con una graziosa chiesetta sulla spiaggia. Dato che le barchette dei pescatori occupano la parte più riparata della baia siamo costretti ad ancorarci all’esterno, dove per tutta la notte l’onda lunga rende poco confortevole il riposo.
Mercoledì
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Dormiamo malissimo e all’alba, visto che l’onda rende impossibile sbarcare in spiaggia leviamo l’ancora decisi ad andare in una baia sul nord di Ua Pou che speriamo essere più riparata.
Ci dispiace di non poter visitare il villaggio, che osservato con il binocolo, sembra attraente e pieno di vita. Arrivati davanti alla nuova baia scopriamo che l’ingresso è stretto e anche qui l’onda entra come dimostrato dai violenti movimenti dell’albero di una barca ancorata all’interno.
Facciamo due conti, poi visto che c’è vento forte decidiamo di traversare il canale di 25 miglia che separa Ua Pou da Nuku Hiva e andare alla baia di Tai Oa, conosciuta anche come Daniel Bay, che da quanto ci hanno detto è completamente riparata. Lasciando Ua Pou ammiriamo gli alti picchi che sembrano le Tre cime di Lavaredo!
Nel canale il vento soffia forte, a volte anche troppo e con yankee, trinchetta e 3 mani di randa voliamo a 7 nodi sballottati dalle grosse onde. Alle 13 siamo a meno di 1 miglio dall’ingresso della baia, come ci conferma il GPS, il problema è che si vedono solo delle altissime scogliere contro cui le grosse onde dopo aver percorso varie migliaia di miglia si vanno ad infrangere rabbiosamente.
Al sol pensiero di avvicinarci ci si accappona la pelle, però la nostra guida ci assicura che a qualche centinaia di metri l’ingresso, largo solo 200 metri, appare chiaro. Ci fidiamo e come dei kamikaze a capofitto ci lanciamo tra le grosse onde verso gli scogli. Per fortuna la guida ha ragione (altrimenti non saremmo qui a raccontarlo), e arrivati davanti all’imboccatura si vede che tra l’alta scogliera sulla sinistra e la bassa lingua di terra sulla destra c’è un buco entro cui dobbiamo infilarci.
Il mare ribolle a causa delle onde che rimbalzano che si scontrano con le onde che arrivano. Passiamo 5 minuti di paura, ma con il forte vento in poppa e il motore a tutta manetta, riusciamo ad entrare e all’interno lo spettacolo che ci appare ci fa dimenticare immediatamente tutto.
La baia è completamente racchiusa da alte montagne, non c’è un filo di vento e l’acqua liscia come l’olio. Sembra in pochi minuti di essere passati dall’oceano arrabbiato al lago di Garda!
La grande baia è formata da due anse, noi ci infiliamo in quella di destra, dove sono all’ancora altre due barche. Grandi saluti, sono due coppie di brasiliani, Wilmar e Gina di Journal e Luis e Marline di Green Nomad che abbiamo conosciuto a Panama e con cui abbiamo parlato spesso per radio durante la traversata.
Appena ancorati andiamo a salutarli e ci danno un po’ di informazioni, visto che loro sono lì da 2 settimane.
Subito gli chiediamo:
“Ci sono gli squali?”.
“Si!” ci risponde Gina.
La baia pullula di squali martello, che vengono a riprodursi qui, e pare che i piccoli siano buonissimi. Ci dicono anche che lì vicino ci sono delle altissime cascate e che la scarpinata necessaria per raggiungerle è una vera esperienza.
Daniel Bay è così chiamata perché qui abita Daniel, che è famoso per la sua ospitalità tra tutte le barche che passano da queste parti. Ora purtroppo non c’è, sua moglie è all’ospedale.
Verso sera, mentre Annalisa sta preparando la pasta fatta in barca, esce fuori spaventata da un urlo di Lorenzo che stava piegando le vele. “C’è una manta!!”.
Una grossa manta ci sta svolazzando intorno mangiano il plancton con la sua grossa bocca che tiene spalancata mentre nuota. Guardando bene non è sola, sembra che un’intera famiglia stia banchettando intorno a noi. Che spettacolo!!
Rimaniamo talmente stupefatti che non scattiamo neanche una foto, le faremo domani. Un buon piatto di tagliolini mangiati all’esterno sotto la luna quasi piena conclude degnamente questa bella giornata.
Giovedì
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Tre lavoretti quotidiani in mattinata. Ogni tanto alziamo gli occhi per ammirare il paesaggio, che con lo spostarsi del sole cambia continuamente.
Bisognerebbe essere dei veri scrittori per descrivere la bellezza di questa baia, e anche le foto crediamo che non rendano, dato che non riescono a prendere che una piccola porzione della vista che ci si offre. Nel pomeriggio, armati di lenza altraino, con la più convinta intenzione di procurarci la cena, prendiamo il gommone e iniziamo a percorrere la baia.
Dopo pochi minuti ci troviamocomodamente seduti nel pozzetto di Jornal, bevendo the e mangiando un frutto dell’albero del pane bollito con il miele. Gina e Wilmar sono molto simpatici e passiamo tutto il pomeriggio a chiacchierare e a scambiarci esperienze. Wilmar è un ingegnere meccanico e insieme a sua moglie gestiva una piccola impresa in Brasile, poi hanno deciso di prendersi un anno di vacanze e farsi una bella veleggiata fino ai Caraibi, a bordo della loro piccola barca di 8,5 metri.
Arrivati in Florida, dove hanno passato l’estate scorsa facendo un corso intensivo di inglese, al momento di tornare a casa hanno deciso che il tipo di vita gli piaceva e hanno pensato bene di tornare in Brasile facendo il giro del mondo. Verso sera li invitiamo da noi per un piatto di pasta e una bottiglia di vino cileno.
Venerdì
Alle 7 Lorenzo è già all’opera, per cercare di pescare qualcosa da mettere sul barbecue. Come esca usa il pesce secco, che incomincia a puzzare ed ad attirare migliaia di mosche.
Il pesce secco non perdona, e uno squaletto martello abbocca e si agita disperatamente. Lo tiriamo su in fretta, prima che ci vedano i suoi genitori, poi lo mettiamo in frigo e ci prepariamo per andare a vedere le cascate.
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Con il gommone risaliamo il piccolo torrente che sfocia nell’altro ramo della baia e dopo avere approdato con qualche difficoltà nel fango, iniziamo a percorrere il sentiero lungo la stretta e profonda vallata. Qualche secolo fa la vallata era intensamente abitata da una potente stirpe diguerrieri che, a quanto ci hanno detto, sono stati completamente estirpati dalle malattie portate dai marinai delle navi baleniere.
Ora sono rimaste solo le basi in pietra delle capanne, le strade lastricate di ciottoli e qualche tiki, che sono delle statue raffiguranti gli dei polinesiani. Le case marchesane erano delle capanne fatte con le foglie di palma, però erano costruite su delle solidissime basi di pietra, e più grande era la base più era il prestigio della famiglia che la abitava.
Le basi più grosse contengono delle pietre di varie tonnellate e sono state portate lì solo con la forza umana. Per ragioni sociali non era considerato onorevole utilizzare una vecchia piattaforma e siccome la costruzione richiedeva diversi anni di lavoro da partedi parecchi uomini ci sono parecchi antropologi che sostengono che per questo motivo queste popolazioni sono tra le uniche al mondo ad avere adottato la poliandria, cioè una donna poteva avere più mariti.
In effetti, solo il primo marito era dello stesso grado sociale della moglie, tutti gli altri erano di grado inferiore ed era un sistema per avere della manodopera a poco prezzo. Ogni tanto il sentiero si interrompe e bisogna guadare un piccolo torrente, con l’acqua alla vita e corrente piuttosto forte. La vegetazione, date le abbondanti precipitazioni, è lussureggiante e l’aria è piena di insetti, specialmente zanzare che si affollano intorno ai nostri pochi centimetri di pelle lasciati scoperti da jeans e camice con le maniche lunghe.
Dopo un ora e mezza raggiungiamo finalmente la cascata, che è altissima e dato che cade in una specie di crepaccio non si riesce a vedere la sommità. Alla base si è formata una piscina naturale e visto il caldo sofferto durante la passeggiata in pochi minuti siamo a bagno nell’acqua fredda.
Ci sono anche gli equipaggi di Only Blue Wind Whisper, e una coppia di turisti francesi con la loro guida marchesana.Dal primo laghetto, attraverso uno stretto passaggio tra le rocce nere si accede ad una seconda e più piccola piscina. Qui il rumore della cascata è assordante e l’acqua polverizzata rende difficile la respirazione. Avanziamo nuotando contro la corrente fino alla base della cascata e ci godiamo qualche minuto di idromassaggio causato dall’acqua che cade da un altezza di 500 metri.
Intanto la guida marchesana si è arrampicata come un gatto sulle parete verticale di roccia nera e viscida e con un urlo animalesco si tuffa da un’altezza di almeno 10 metri. Sembra divertirsi moltissimo e immediatamente scala nuovamente la parete buttandosi da ancora più in alto. Fa impressione e sembra dover scivolare da un momento all’altro.
Usciti dalla Jacuzzi, vediamo arrivare anche Wilmar, Luis e Marline, che visto che ieri a causa delle forti piogge non sono riusciti ad arrivare qua, hanno approfittato della bella giornata per farsi un altra scarpinata. Li accompagniamo e ci facciamo un altro bagno.
Ritornati alla spiaggia facciamo la conoscenza di Simeon, un anziano marchesano che pur avendo una bella casa nel villaggio di Taiohae preferisce vivere in questo posto selvaggio. Simeon non ci lascia andare senza averci offerto un caffè ed un sacchetto pieno di arance. Mentre stiamo per imbarcarci sul gommone per tornarcene in barca, dalla riva spunta una donna che abbastanza preoccupata urla: << I need help!!>>.
Fa parte dell’equipaggio di Wind Wisper e immediatamente ci dice che suo figlio, che ha delle difficoltà a camminare, non ce la fa più e suo marito dopo averlo portato sulle spalle è esausto. Sono le 15.30 e fra poco più di un ora farà notte e come se non bastasse inizia anche a piovere a dirotto. Lorenzo e Wilmar la seguono lungo il sentiero, mentre Annalisa Luis e Marlin sono invitati a prendere un altro caffè dall’altra famiglia che vive alla fine della vallata.
Dopo mezzora di cammino incontriamo il ragazzo con il padre, sono entrambi distrutti dalla fatica e Io e Wilmar ci alterniamo portandolo in spalla lungo il sentiero che a causa della pioggia ormai è diventato un piccolo torrente. Quando arriviamo al fiume la famiglia marchesana ci fa una gran festa e ci offrono un caffè con un dolce al cocco e della frutta.
Erano preoccupati e l’anziano padre era già pronto ad andare a Taiohae con il motoscafo a chiamare soccorsi.
Approfittiamo di una pausa della pioggia per tornarcene in barca, ma Simeon ci
blocca offrendoci un grosso dentice per coppia. Questa gente è veramente ospitale è ci sentiamo un po’ in imbarazzo. Torniamo in barca stanchi e affamati e ci facciamo una bella cotoletta di pesce martello alla milanese: ottimo!
Sabato
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Passiamo quasi tutto il giorno al computer, da Jornal. Hanno comprato da poco una macchina fotografica digitale e gli diamo una mano a comprimere le immagini ed organizzarsi un po’ il computer. Poi arriva l’invito a cena di Luis e Marline per gustarci i dentici cotti nel sale. Passiamo una bella serata sul Green Nomad. Luis è un ingegnere metallurgico portoghese mentre Marline è una fiera gaucha del sud del Brasile anche loro si sono costruiti la barca, un Van de Stadt 37 e ora stanno emigrando in Australia, dove pensano di stabilirsi.