Lumut e Penang

Settimana 131

dal 28/11/99 al 04/12/99

Domenica

Vogliamo un po’ di cibo fresco!

La cittadina più vicina è Lumut, che si trova ad una decina di miglia da qui, all’interno della foce di un fiume. Da queste parti le correnti di marea sono fortissime e dopo laboriosi calcoli decidiamo che l’ora giusta per lasciare l’ancoraggio e risalire il fiume fino a Lumut sono le 10 di mattina.

In questo modo abbiamo un ora di corrente contraria e poi tutta corrente a favore. Le tavole di marea funzionano alla perfezione e poco dopo mezzogiorno siamo in marina a Lumut.

Per noi è estremamente inusuale andare in marina, ma qui costa pochissimo (circa 5$ Usa) e almeno siamo sicuri quando lasciamo la barca per fare i giri a terra.

Inoltre è una buona occasione per conoscere e socializzare con le altre barche di giramondo. I marina sono sempre piuttosto lussuosi, anche perché sono un punto di ritrovo per i ricchi malesi. Noi ne approfittiamo e ci facciamo un bel bagno in piscina.

Poi andiamo a vedere la cittadina di Lumut. Domani ci sono le elezioni e c’è un gran fermento. I partiti principali sono due e le persone sembrano completamente schierate da una parte o dall’altra. Tutte le case hanno fuori il manifesto del partito preferito e lo stesso accade per le macchine.

Rimaniamo sorpresi di trovare una cittadina moderna e ricca, specialmente rispetto ai villaggi indonesiani. In piazza c’è un mercatino con i soliti parei e magliette, delle bancarelle che vendono del cibo a poco prezzo e tanta gente. La Malesia è uno stato Mussulmano, le donne indossano tutte il chador e lunghi vestiti.

Ci concediamo una cena allo Yacht Club e poi andiamo a dormire.

Lunedì

Giornata elettorale, gli uffici ed i negozi sono tutti chiusi. Noi non abbiamo ancora fatto le pratiche d’ingresso, le faremo domani e per oggi facciamo i clandestini (in teoria bisognerebbe stare in barca!).

Prendiamo il bus e ci facciamo un giro fino a una città che si chiama Manjung. L’unica cosa di aperto è un grosso supermercato, così ci passiamo un paio d’ore al fresco e facciamo un po’ di spesa. Nel pomeriggio piove e fa caldo, l’unica soluzione è di stare a mollo in piscina.

Martedì

Riprendiamo il bus per Manjung per sbrigare le pratiche di ingresso.

Prima l’Immigrazione che è piena di cinesi che chiedono il rinnovo del visto. Il nostro sportello è per fortuna libero e ce la caviamo in una mezz’ora. Poi bisogna andare al Custom (Dogana) che si trova in un lussuoso palazzo stile arabo moderno, anche qui sono gentili ed efficienti e ce la caviamo con la solita compilazione dei soliti 4 o 5 moduli.

La cosa che ci colpisce di più sono i prezzi estremamente bassi. Tutto costa pochissimo, dalle fotocopie, a Internet agli ananas. La prima impressione della Malesia è positiva, la gente è gentile e disponibile, parlano tutti inglese e nessuno ci importuna per venderci qualcosa.

Torniamo in barca e ci spostiamo in un ancoraggio a nord dell’isola di Pankor, così domani potremo partire presto senza problemi di correnti o maree.

Mercoledì

Partiamo alle 6 diretti a Penang. C’è poco vento e contrario, il cielo è grigio e piove ogni mezz’ora. Ce la facciamo tutta a motore (50 miglia) e arriviamo al tramonto in una baia a sud di una piccola isolette molto carina. Una spiaggetta bianca circondata da una rigogliosa foresta, per forza con tutta questa pioggia!

Giovedì

Dobbiamo percorrere 10 miglia per raggiungere la città ed il percorso prevede centinaia di reti da pesca da evitare ed il passaggio sotto un ponte. In teoria bisognerebbe chiedere il permesso (con una lettera!) ma sembra che nessuno dica niente e così ce ne freghiamo.

Il ponte, che collega l’isola di Penang alla terra ferma, è lunghissimo e la sua campata centrale è alta 26 metri. Il nostro albero 15, ma proviamo lo stesso una certa apprensione a passarci sotto.

Georgetown, la capitale dell’isola di Penang è una città prevalentemente abitata da cinesi e ci ancoriamo tra le giunche davanti ad un villaggio di pescatori le cui case sono tutte su palafitte. Suggestivo sembra di essere in Cina!

Alle spalle del villaggio spuntano i grattacieli. Georgetown è una città moderna ed è famosa tra i “backpakers” (i giramondo in sacco a pelo) per i suoi hotel e ristoranti a poco prezzo e per la vita notturna.

L’ancoraggio ad ogni cambio di marea è investito da forti correnti. Così per evitare di essere portati via dalla corrente nessuno usa il proprio gommone. Basta suonare o fischiare perché un pescatore cinese ti venga a prendere, con un sampan a motore di legno fradicio che fa acqua da tutte le parti, e ti porti a terra per sole 1000 lire. E’ comodo e così non dobbiamo preoccuparci che ci freghino il gommone.

Sbarchiamo su un pontile che non è altro che una passerella in mezzo alle palafitte fittissime del villaggio di pescatori. Meglio non guardare cosa c’è sotto le palafitte, basta annusare per averne un’idea. Ma quante persone vivono in ogni palafitta?

A giudicare dal numero di scarpe e ciabatte sulla porta di entrata sembrano decine. La passerella sfocia in un tempietto e poi sulla strada pieno di traffico e di attività. Non sappiamo bene dove andare, non abbiamo una carta e dobbiamo trovare prima delle 17 l’ufficio della DHL. Chiediamo informazione e si ferma un vecchietto con un “risho”, sostiene che lui sa dov’è e così finiamo seduti sul suo triciclo.

Fa impressione girare in mezzo al traffico seduti a pochi centimetri da terra e ci sentiamo anche un po’ in colpa farci portare in giro dalla forza muscolare di un vecchietto, ma tutto sommato per lui significa guadagnarsi la giornata.

Dopo un lungo giro ci ritroviamo al punto di partenza.
Ci fa risalire e attraversando pericolosamente la strada principale si ferma davanti ad una bancarella che vende zuppe cinesi.

Non ci siamo. La comunicazione è difficile, vista la nostra ignoranza della lingua cinese, ma a segni riusciamo a fargli capire che chieda informazioni in giro. Si infila in un ristorante (un banchetto con un grosso wok sul fuoco e qualche tavolo) e dopo pochi minuti ritorna sorridente e sicuro di sé. Come farà a pedalare con quelle gambe secche traballanti.

Dopo 5 minuti si è già perso! Gli chiediamo di fermarsi e andiamo noi a chiedere informazioni in un negozio dove c’è una ragazza che parla inglese. Lei sa dov’è e chiediamo di spiegarlo al nostro vecchietto. Forse è la volta buona. Ci ributtiamo nel traffico e giriamo per un quarto d’ora per poi arrivare nel posto indicato scoprire che la DHL si è trasferita all’aeroporto. Ci facciamo portare in centro.

Il centro è rappresentato dal un alto grattacielo di forma cilindrica che contiene, nei primi 4 piani, un grande centro commerciale. Più interessante è il vecchio quartiere cinese, con le decine di negozi di commercianti ed artigiani dove vendono o fabbricano qualsiasi cosa. Non avendo spazio tutte le attività si svolgono sulla strada e la cosa che ci ha colpito di più è vedere come riescano a lavorare in spazi così ristretti.

Inoltre lavorano sempre per terra, accucciati in una posizione per noi scomodissima, con il sedere in basso e le ginocchia divaricate.Alcune case sono vecchie o forse antiche e hanno il sottotetto completamente decorato con sgargianti rappresentazioni di draghi e altre cineserie.

Ora il quartiere ospita parecchie pensioni per “backpackers” e la sera si anima con decine di ristorantini ambulanti (in pratica un carretto con un fuoco, un wok e una vetrinetta contenente noodles, gamberi ed altri ingredienti cinesi) che cucinano ottimi e poco cari piatti cinesi.

Venerdì

Spendiamo tutta la mattina per andare, con il bus, vicino all’aeroporto per spedire a casa la telecamera a riparare. Poi, dato che piove a dirotto, passiamo il pomeriggio nel centro commerciale dove scopriamo che
fine hanno fatto i “Tigrotti della Malesia”.

Ora, fortunatamente,non assaltano più le barche di passaggio nello stretto di Malacca, ma si sono modernizzati e copiano e vendono CD musicali, Video CD, DVD e tutto il software immaginabile, dai giochi ai programmi professionali di gestione aziendale. Il tutto a dei prezzi stracciati, 3000 lire al CD, indipendentemente da cosa contenga.

Ceniamo in ristorante indiano con pane pakistano ed anatra allo spiedo con candori (è una spezia rossa). Il pane in realtà è una specie di piadina cotto con un curioso sistema. Il forno a legna, invece di essere in piano, come in nostri forni per la pizza, è l’apertura dall’alto ed il fuoco sul fondo e nessun piano su cui appoggiare il pane. La cottura avviene lanciando il disco di pasta, con notevole abilità vista la temperatura interna, sulle pareti concave del forno. La piadina si attacca e in un paio di minuti è cotta.

Torniamo che sono le 23 e per un quarto d’ora disperiamo di dormire sotto una tettoia, poiché non c’è nessun barcaiolo che ci porti “a casa”, poi troviamo un ragazzo cinese che sta per uscire a gettare le reti e ci dà uno strappo.

Sabato

Piove tutto il giorno, una buona scusa per stare al centro commerciale a spendere dei soldi! Compriamo un hard disk e un lettore di CD ROM per il nostro computer, più un sacco di cianfrusaglie che costano talmente poco da non potergli resistere.