Settimana 137
dal 09/01/00 al 15/01/00
Domenica
Lasciamo a malincuore Ko Muk diretti a Phi Phi Don, l’isola ormai famosa da qualcuno definita come una delle tre più belle isole del mondo.
C’è poco vento da est nord-est, andiamo con il gennaker. Il mare è calmo ed il sole brucia.L’impatto con Phi Phi Don è traumatico. L’isola è spettacolare, pareti a strapiombo sul mare, una lunga lingua di sabbia che unisce due profonde baie ma anche migliaia di turisti che si muovono a bordo di veloci traghetti e rumorosissime long tails, causando delle grosse onde che rendono la vita poco confortevole all’ancora.
A terra è ancora peggio. Graziosi bungalow e baracche in lamiera condividono il poco spazio della lingua di sabbia sotto le palme. Ogni centimetro di terreno è occupato da qualche attività economica, il tutto nella più completa anarchia.
Ci sono dei bungalow che sembrano delle celle di una prigione. Grandi poco più di un letto con un piccola finestrella e circondati da filo spinato. C’è un turismo differente da quello di Phuket. L’isola è frequentata principalmente da ragazzi, notoriamente squattrinati, e qui si lavora più sulla quantità che sulla qualità. Le strade, con il fondo sabbioso, sono tutte circondate da un alternanza di ristoranti, sale di massaggio, internet cafè, negozi di souvenir, e diving center. Camminando c’è un sottofondo, quasi musicale, delle ragazze delle case di massaggi che cercano di attirare i clienti continuando a gridare thai massage, thai massage!.
Ceniamo fuori in un grazioso e tranquillo ristorantino sul promontorio sul lato della baia. Cena a base di gamberi.
Lunedì
Per tutta la notte è stato un continuo via vai di long tails dal rumore infernale, amplificato dalle alte pareti rocciose che circondano la baia.
Si è dormito poco e non ci dispiace andarcene. L’isola è bella, ma è troppo affollata per i nostri gusti. Annalisa sale sull’albero per fare una ripresa e poi partiamo per tornare a Phuket.
Lungo la strada proviamo a fermarci dietro un isolotto roccioso per fare il bagno, ma l’acqua è troppo profonda per ancorarsi. Continuiamo con il gennaker con il vento in poppa fino a Ko Mai Thon dove troviamo una bella insenatura con un corpo morto, l’ideale per una sosta ed un bagno.
Fa un caldo micidiale e appena fermi siamo tutti in acqua. Lorenzo è il primo a risalire. E’ stato colpito da una medusa e ha un braccio e la schiena striati come se fosse stato frustato.
Alle 17 arriviamo ad Ao Chalong. Ultima cena tailandese per Matteo e Nelly, domani tornano a casa.
Martedì
Accompagniamo Matteo e Nelly a terra con le valige, poi si va a fare le pratiche di ingresso. Almeno è una cosa abbastanza veloce, sono tutti nella stessa stanza e ce la caviamo con una mezz’ora.
Nel pomeriggio Lorenzo va ad accogliere Gigi e Patrizia e a fare la spesa al supermercato. Poi ci spostiamo dall’altro lato della baia dove è si sta più riparati e tranquilli. La serata passa in chiacchiere per aggiornarci a vicenda sull’ultimo anno trascorso.
Mercoledì
C’è vento e facciamo una bella bolinata fino a Phi Phi Don. Un’ora prima del tramonto ci troviamo a costeggiare le alte scogliere di Phi Phi che, per effetto del sole basso, sembrano infuocate. Le barche che affollano la baia di Tom Sai ci sembrano più numerose dei giorni scorsi. Barche a vela, traghetti, barche di pescatori e le immancabili long tails.
Giovedì
Cielo terso, caldo torrido e neanche una bava di vento. In gommone si va a fare il bagno in una spiaggietta sovrastata dall’alta scogliera all’inizio della baia. Sulla parete rocciosa ci sono di ragazzi che fanno free climbing. Fa impressione vederli arrampicarsi in verticale solo con l’aiuto di mani e piedi.
Il mare è calmo e ne approfittiamo per andare a Phi Phi Le, che dista un paio di miglia, con il gommone. Phi Phi Le è disabitata e molto spettacolare. L’isola è penetrata da due baie profonde e quasi completamente chiuse. In pratica sono due hong con una parte degli alti muri crollati.
La prima sarebbe un perfetto ancoraggio se non fosse parzialmente insabbiata. Entrando veniamo assordati dal tremendo rumore di una long tail, che per fortuna se ne sta andando. Poi il silenzio, rotto solo dal cinguettare degli uccelli. Ci facciamo il bagno con la testa in su, no si sa veramente dove guardare.
Lentamente e sotto un sole implacabile, circumnavighiamo l’isola, ammirando le alte scogliere e le più strane formazioni rocciose che pendono dall’alto.
Phi Phi Le è famosa anche per i raccoglitori di nidi di rondine. I nidi, composti di fili d’erba impastata con la saliva delle rondini, secondo i cinesi sono una delizia alimentare e questi sono disposti a pagare cifre pazzesche (si parla di 2000$ il chilo) per acquistarli.
Così ci i ragazzi del luogo, quando le rondini abbandonano i nidi per migrare, si arrampicano sulle scogliere verticali per raccoglierli. Al contrario dei free climbers non hanno né moschettoni, né scarpe di neoprene né corde. Loro semplicemente utilizzano dei lunghi bambù che con delle fibre vegetali legano tra loro e alle rocce per formare delle rudimentali scale che salgono scalzi.
Torniamo in barca cotti e rintronati per essere stati sotto il sole tutto il giorno, ma soddisfatti.
Venerdì
L’intenzione era quella di fermarsi a Bamboo Island, che si trova a nord di Phi Phi Don, ma c’è stranamente un forte vento che rende impossibile l’ancoraggio.
Boliniamo alla volta di Ko Dam, un gruppo di scogli ed isolette a sud di Krabi. Ci ancoriamo davanti a Chiken Island, l’isola del pollo , così chiamata per la sua forma che ricorda quella di una gallina.
C’è la bassa marea e una coreografica bianca striscia di sabbia bianca finissima collega due isolotti, l’acqua è chiara e il colpo d’occhio è notevole. Su uno degli isolotti c’è una tettoia di paglia sotto cui vendono panini e bibite e affittano ombrelloni alla gente che raggiunge l’isoletta per una gita giornaliera dai centri turistici vicini.
Mentre Gigi e Patrizia se ne stanno a rosolare al sole sul bagnasciuga, noi andiamo a pesca. Rischiamo di prendere delle aragoste, ma non riusciamo tirarle fuori dalla tana. Ci accontentiamo di un paio di pappagalli e un buonissimo snapper. Il tramonto chiude la giornata e ci avvolge con tutti i toni del rosso e dell’arancio.
Sabato
Vita da spiaggia in mattinata poi si parte per Re Lai, che è una spiaggia che si trova a 5 miglia sulla terra ferma. Per strada incrociamo un peschereccio che inizia a gettare le sue reti, ci fermiamo per vedere come e cosa pescano. Ad alta velocità cala la sua rete circolare del raggio di qualche centinaia di metri, poi si ferma e inizia, per mezzo di un potente verricello, a recuperarla a bordo.
Lentamente il cerchio si stringe la rete ha una maglia finissima, evidentemente pescano dei pesci piccoli. Il ponte superiore del peschereccio è pieno di ceste di plastica e quando sono pronti per recuperare l’ultima parte della rete, che ha questo punto ha formato un grosso sacco, capiamo a cosa servono.
A poppa hanno una specie di bruciatore, che mettono in funzione appena iniziano a tirare su i pesci pescati, che scalda un grosso contenitore di acqua. I piccoli pesci appena pescati sono messi dentro le ceste bianche, che sono larghe e basse. Queste sono passate per qualche secondo nell’acqua bollente e quindi impilate sul ponte superiore.
Adesso capiamo da dove vengono i sacchi di piccoli pesci secchi che si trovano in tutti i mercati dell’Asia e che sono utilizzati per preparare le zuppe.
Andiamo a cena in un ristorante sulla spiaggia. Diluvia. Il ristorante non è altro che una tettoia e quando piove forte per non bagnarsi siamo tutti costretti a spostarci nei tavoli centrali.
Conosciamo Miki e Massimiliano, una coppia di simpatici bolognesi in viaggio di nozze. Non riescono a credere che abbiamo mollato tutto e siamo in giro da 3 anni. Loro sono riusciti a rimediare 15 giorno di congedo matrimoniale e fra qualche giorno devono tornare a casa a lavorare.
Chiacchieriamo piacevolmente fino a che, gentilmente, ci cacciano perché voglio chiudere. Ci diamo appuntamento per domani.