dal 21/06/98 al 27/06/98
Settimana 56
Arrivo a Fatu Hiva nella splendida Baia delle Vergini
Domenica
Dopo una settimana fatichiamo non poco a levare il gennaker a causa di un colpo di vento che segue un grosso groppo. Il vento si sfoga violento per mezz’ora, poi ritorna normale, ma decidiamo di fare riposare il gennaker e mettere il genoa e l’olimpico tangonati.
La falla è costante, e raccogliamo circa 3 o 4 litri ogni 24 ore.
Lunedì
Ancora poco vento e andiamo piano. Ma quando arriviamo!
Martedì
Cielo sereno,anche se questa notte c’è stato un passaggio di nuvole temporalesche e qualche goccia d’acqua. Siamo proprio stufi! Oggi siamo passati vicino ad uno stormo di uccelli e a parte qualche isolato uccello bianco con la coda lunga (siamo ignoranti e non sappiamo come si chiami) ed i pesci volanti è la prima forma di vita che vediamo in questo deserto d’acqua.
Non abbiamo visto né delfini ne balene, il cui avvistamento qui dovrebbe essere abbastanza frequente.
Mercoledì
Iniziamo a fremere per l’avvicinarsi dell’arrivo, mancano poco più di cento miglia e dato che probabilmente arriveremo di sera decidiamo di puntare su Atuona, la capitaledi Hiva Oa che ha un piccolo porto che dovrebbe essere segnalato con un faro e delle luci.
Alle 18 Lorenzo avvista Hiva Oa, però intanto il vento è aumentato parecchio e tira una brutta aria. Alle 21 mancano 25 miglia ad Hiva Oa, il cielo si è coperto di nuvole minacciose e il vento è aumentato ancora.
Non ce la sentiamo di infilarci di notte in un porto sconosciuto, che è anche piuttosto aperto al mare. Dopo una breve consultazione cambiamo idea e decidiamo di andare a Fatu Hiva e di arrivare la mattina successiva.
Dobbiamo passare sopravvento all’isola Motane di bolina stretta e quando siamo proprio al traverso si scatena un enorme groppo. Il vento ed il mare montano immediatamente, e a Lorenzo tocca andare a prua a togliere lo yankee in mezzo alle onde che spazzano la coperta, per fortuna l’acqua del mare è calda!
Boliniamo a sei nodi con tre mani di randa e la trinchetta sotto un’acqua pazzesca e quando ci accorgiamo che stiamo scadendo troppo verso l’isola che si vede minacciosa alla nostra destra, accendiamo il motore per cercare distringere un po’ di più.
Ci siamo fatti prendere dalla smania di arrivare come due pivelli! Comunque riusciamo a passare Motane, il vento si calma un poco e a turno possiamo riposare.
Giovedì
Alle prime luci dell’alba Annalisa vede l’ombra di Fatu Hiva, con i suoi alti picchi neri. E’ una visione fantastica. Le alte montagne svettano ripide sull’oceano e i picchi sono immersi in grossi nuvoloni neri che nonostante il forte vento non si muovono, il mare è bianco a causa delle raffiche violentissime che si scaricano dalle montagne.
Fatu Hiva è l’isola più a sud delle Marchesi, non ha aereoporto ed è visitata solo da qualche cargo che la rifornisce dei beni di prima necessità. Solo due vallate sono abitate, Omoa e Hanavave che si apre sulla Baia delle Vergini e dove noi siamo diretti.
La baia si trova sul lato est dell’isola, e dato le raffiche esattamente sul naso, decidiamo di togliere tutte le vele e procedere a motore. Le raffiche sono intermittenti, ma quando ci investano riescono praticamente a fermare la barca. Siamo a meno di un miglio e la baia si presenta con tutta la sua selvaggia bellezza.
La baia è piuttosto piccola, ed è tutta circondata da alti pinnacoli di roccia,le montagne che la sovrastano sono piene di vegetazione il cui colore verde varia continuamente in funzione della luce che riesce a filtrare dalle nuvole che stazionano sui picchi delle montagne. La spiaggia è nera ed nel mezzo spicca una piccola e graziosa chiesetta bianca con il tetto rosso.
Sullo sfondo si intravede la caldera di un vulcano che sgretolandosi ha dato origine ad una verdissima vallata. Adesso capiamo perché è considerata la baia più bella del mondo!
In origine la baia si chiamava Baia delle Verghe, dato i grossi pinnacoli dalla forma fallica, poi i pii missionari che hanno raggiunto le Marchesi hanno pensato bene di trasformarlo in Baia delle Vergini.
Nella baia ci sono altre tre barche e finalmente alle 7,30, dopo un primo tentativo andato a vuoto, buttiamo l’ancora dopo 23 giorni di mare. L’eccitazione di essere arrivati ci fa passare la stanchezza, così mettiamo un po’ d’ordine all’interno e sistemiamo le vele che abbiamo legato alla meglio sulle draglie durante l’ultima burrascosa notte di navigazione. Le raffiche continuano con una violenza che noi non avevamo mai sperimentato, è difficile stare in piedi sul ponte.
Inoltre a causa delle varie vallate che sfociano sulla baia la direzione di provenienza cambia continuamente e quindi le barche girano come delle trottole. Per fortuna l’ancora tiene, abbiamo dato 70 metri di catena e anche se siamo un po’ sballottati nel pomeriggio andiamo a dormire abbastanza tranquilli. Ci svegliamo e scopriamo che sta arrivando un’altra barca. La barca si chiama Samuel, sono una coppia di olandesi che avevamo già visti a Panama. Anche loro sono stravolti, vengono direttamente da Panama e sono 42 giorni che sono in mare, e buttata l’ancora se ne vanno a dormire immediatamente.
Per cena si festeggia con crespelle ai funghi porcini e Moet Chandon! Mentre ci gustiamo la cena vediamo delle luci di un’altra barca che sta lentamente entrando nella baia. Con il faro gli segnaliamo i bordi della baia e il posto dove possono ancorarsi. La barca si chiama Ataram, sono tre ragazzi belgi e anche loro li abbiamo incontrati a Panama.
Sarà per lo champagne, ma siamo veramente contenti ed euforici; abbiamo fatto la più lunga traversata del nostro giro del mondo e siamo in Polinesia.
Venerdì
Due barche americane se ne vanno e lasciano lo spazio per ancorarsi a Maracla che arriva verso le 9,30.
Anche loro sono stravolti, ma come noi il giorno prima felici ed euforici per la fine della lunga traversata. Tratteniamo a stento la soddisfazione per essere arrivati 26 ore prima di uno Swan 42 (lo Swan è una barca da regata molto famosa). E pensare che scherzando alla partenza a Puerto Ayora Annalisa aveva urlato a Peppino: Vi aspettiamo alle Marchesi!.
Facciamo colazione insieme a Peppino Lucia e Blu, poi andiamo a terra ad visitare il villaggio. Sullo scivolo che serve per approdare ci accoglie una bambina grassottella con in braccio il fratellino, che lei cura come se fosse un bambolotto.
Subito ci chiede se vogliamo fare degli scambi, poi ci accompagna a casa sua dalla sua famiglia. Camminiamo lungo l’unica strada che attraversa il villaggio e sembra di stare in un immenso giardino tropicale. Le casette sono tutte circondate da piante fiorite e da alberi di pompelmi, arance, limoni, banane e noci di cocco. La famiglia della ragazzina è raccolta sotto una tettoia di lamiera e con nostra sorpresa e sconforto, sta guardando la televisione che sta trasmettendo un puntata di Capitol.
Ci accolgono con grandi sorrisi e ci confermano che vogliono fare degli scambi. La loro casa è molto povera e due maiali scorrazzano tra i bambini e ogni tanto gli vanno a leccare i piatti da cui stanno mangiando. Però la televisione è nuova grande e addirittura stereo.
Dato che Fatu Hiva è molto isolata, la nave dei rifornimenti arriva una volta al mese, quindi gli abitanti approfittano delle barche di passaggio per acquistare o scambiare quello che gli serve. Ci chiedono di tutto, dal trapano elettrico, alla colla, le vernici, la cera per lucidare le sculture di legno, orologi, rum, ecc… Noi abbiamo qualche maglietta e della bigiotteria che scambiamo per un casco di banane, due borse di pompelmi ed arance e due tapa.
Il tapa è un manufatto tipico di tutte le popolazioni polinesiane del Pacifico ed è fabbricato a partire dalla corteccia dell’albero. Come ci spiega la nostra ospite la fabbricazione è fatta esclusivamente dalle donne e la prima operazione consiste nel trovare dei giovani tronchi dell’albero del pane e scortecciarli longitudinalmente. Si ottiene così una lunga striscia spessa circa 5 mm, che sarà poi battuta con una specie di pestello di legno duro su una pietra piatta.
Sono necessarie molte ore di battitura per ottenere una striscia larga il doppio dell’originale e spessa come una pergamena. Quindi il tapa è lavato in acqua corrente e poi steso su una superficie piana, lisciata con le mani e poi lasciato asciugare al sole. Quando il tapa è secco è disegnato con un inchiostro nero che le donne ricavano da una specie di liana. I disegni sono di solito tipici di ogni famiglia e sono gli stessi che gli uomini si tatuano su tutto il corpo e la faccia.
Finiti i nostri traffici commerciali facciamo una passeggiata fino alla fine della strada, giusto per sgranchirci un po’ le gambe, e passando la gente del villaggio è tutta molto gentile e ci fanno dei gran saluti.
La sera siamo invitati per cena a bordo di Ataram, ci sono anche i Maracla. La serata è divertente. I tre ragazzi belgi, hanno acquistato la loro barca con l’intenzione di arrivare a Tahiti, poi tornare indietro in Europa passando Capo Horn, e costeggiando il Brasile.
Dopo tanto navigare tutti hanno vogliadi parlare, e si parlano contemporaneamente francese, inglese e italiano.
Sabato
Ci facciamo una bellissima scarpinata nella foresta per vedere una cascata. Passato il villaggio il sentiero si inoltra nella foresta e immediatamente ci sentiamo degli esploratori del 17° secolo, non c’è alcun segno di civiltà e si sentono solo i rumori degli uccelli e del ruscello che scorre.
Ogni tanto la vegetazione si apre e ci permette di ammirare le splendide vallate laterali piene di palme altissime. La cascata è molto suggestiva, è alta 60 metri e la pozza d’acqua che crea ai suoi piedi è tutta circondata da piante e muschi verdissimi e popolata da voracissimi zanzare.
Nel pomeriggio insieme agli Ataram, ai Samuel e ai Maracla organizziamo uno scambio di due bottiglie di vino con 5 polli freschi. Poi ogni equipaggio si cuoce il suo pollo e si va a mangiarlo su Ataram, che è la barca più grande.
Nel mezzo della cena arriva un’altra barca, è Irena, una giunca inglese con equipaggio di una sola persona, Roger, un architetto che abbiamo conosciuto a Panama. Subito andiamo in gommone ad aiutarlo, poi lo invitiamo a cena. E’ 26 giorni che è in mare da solo, quindi ha una gran voglia di parlare, e tutti insieme passiamo una bella serata.