dal 16/11/97 al 22/11/97
Settimana 25
Arrivo in Gambia e inizio risalita del fiume
Domenica
La giornata passa tra un sonnellino, qualche lettura e gli appuntamenti radio sia con le barche italiane in navigazione che con i nostri compari.
Proviamo a pescare, ma non beccano.
Lunedì
Si rolla ma il vento è buono. Annalisa cuce le zanzariere per gli oblò e il tambuccio. Sul fiume saranno essenziali per sopravvivere alle zanzare.
Martedì
La notte passando davanti Dakar il vento rinforza e siamo costretti a prendere 3 mani alla randa e togliere l’olimpico e usare la trinchetta. Poi durante la mattinata il vento cala fino a bonacciare. Non è un problema visto con non riuscendo ad arrivare entro il giorno, dobbiamo rallentare per arrivare domani mattina.
Passato Dakar il mare diventa profondo meno di 100 metri e l’acqua è 30 gradi. L’oceano pullula di delfini, non ne avevamo mai visti così tanti: sono centinaia! Evidentemente il mare è qui molto pescoso.
Greg di Nimbus è arrivato ieri e ci passa via radio le informazioni per entrare a Banjul senza problemi. La cosa ci fa molto piacere in quanto le informazioni che abbiamo non sono né aggiornate, né complete.
Mercoledì
La notte arriviamo a 30 miglia da Banjul, il vento rinforza ed il mare è pieno di luci di barche da pesca. Visto le precedenti esperienze con le reti, vediamo bene di tenerci alla larga e ci mettiamo alla cappa. Siamo stanchi e accendiamo il radar con l’allarme a 3 miglia (suona se entra qualche nave o barca nel raggio di tre miglia) e ci addormentiamo.
Ci svegliamo all’una e decidiamo di avviarci verso la prima boa di ingresso al fiume (che si trova a circa 15 miglia da Banjul) in modo da essere lì per l’alba. Ogni tanto vediamo delle ombre che ci passano vicino, si sente il rumore del motore e le luci di qualche sigaretta; sono le piroghe dei pescatori locali. Incominciamo a vedere la sagoma della città, e sembra di vedere i profili di grossi palazzi, sembra una grande città. Avvicinandoci scopriamo che le sagome sono degli alberi, enormi, e la città non è tanto grande ed è composta da piccole case e baracche.
Vediamo due alberi di due barche a vela e ci sentiamo un po’ rinfrancati; per arrivare all’ormeggio passiamo tra pescherecci arrugginiti e relitti di vecchie carrette.
Ci ancoriamo e facciamo la conoscenza di Ross e sua moglie, di Hamoana, che ci danno delle dritte su come fare le pratiche di ingresso e su dove cambiare i soldi e cose del genere. Ross ci dice che incredibilmente ha trovato un’officina che gli aggiusta il boma saldandogli i pezzi di alluminio che gli abbiamo acquistato al Las Palmas.
Lorenzo un po’ rimbambito per il sonno arretrato parte con il gommone per espletare le pratiche burocratiche: Prima bisogna andare all’immigrazione , poi all’autorità portuale per farsi rilasciare il permesso per risalire il fiume. Sul pontile lo attendono due ragazzotti, Moses un rasta con treccioline e maglietta di Bob Marley e Barnaba un rapper con berretto di lana e calzoni al ginocchio che gli faranno da guida per la città.
La città è tipicamente africana; le costruzioni sono abbastanza fatiscenti, in strada le fogne sono a cielo aperto e c’è una bella puzza. I marciapiedi sono affollati di gente che vende frutta, noccioline o cianfrusaglie varie. Le mie guide sono molto simpatiche e mi spiegano che in Gambia ci sono diverse tribù (Mandinka, Wolu, ecc…) e mi dicono come fare a riconoscere le persone appartenenti alle varie tribù.
Dopo aver cambiato i soldi al mercato nero visto che è molto più conveniente ritorniamo al porto all’ufficio immigrazione. Qui due ufficiali mi portano in una stanza e molto sgarbatamente mi dicono che è necessario fare il visto e per questo bisogna pagare. Io per fortuna mi sono portato la guida della Lonely Planet dell’Africa in cui è specificato che per gli italiani non è necessario alcun visto. Gliela faccio vedere e loro ci rimangono male, si indispettiscono e mi dicono che allora uno di loro deve venire in barca a fare un’ispezione. Si capisce benissimo che cercano in tutti i modi di spillarmi dei soldi.
Arrivati in barca l’ufficiale ci chiede di mostrargli tutti gli armadi fino a che non gli offriamo delle marmellate ed un pacco di biscotti. A questo punto è soddisfatto e possiamo tornare in ufficio dove ci timbra i passaporti. All’ufficio dell’autorità portuale stessa storia: per il permesso che Ross ci ha detto di aver pagato 7 dollari me ne chiedono 15. Qui le mie due guide mi aiutano e ne pago solo 7. Finalmente alle 16 ce ne possiamo andare a dormire.
Giovedì
Inizia l’avventura, alle 9 con la corrente favorevole iniziamo la risalita. Il fiume è molto largo e a causa della foschia si fa fatica a vedere le sponde. Fa’ un caldo “africano” e l’aria tremula come nel deserto, sul fiume si vedono alcune canoe di pescatori.
Passata la prima ansa iniziamo a fare la conoscenza con il fondo fangoso del fiume, infatti rischiamo di arenarci in un tratto di fondale basso. Subito mettiamo la marcia indietro e cambiamo strada. D’ora in poi dovremo sempre tenere un occhio all’eco-scandaglio, visto che abbiamo le carte solo per le prime 50 miglia e comunque le secche si spostano ogni anno.
Alle 14 arriviamo a James Island inseguiti da un branco di grossi delfini neri che giocano e pescano facendo dei salti molto spettacolari.
James Island è un isoletta in mezzo al fiume ed era usata per mantenere gli schiavi in attesa delle navi negriere. Ci sono ancora le rovine del forte e della prigione e l’atmosfera è piuttosto cupa.
Sulla sponda sinistra del fiume c’è il paese di Juffree, paese natale di Kunta Kinte, il protagonista del famoso romanzo e film Radici. Non andiamo a vedere il paese perché è molto turistico, addirittura sembra che ci sia una signora che dice di essere discendente di Kunta Kinte e per 15$ ti racconta la storia della sua famiglia.
Verso sera ci raggiungono anche Caviar e Blue Dolphins. La corrente è molto forte e non è causata dal flusso del fiume, ma dalla marea, quindi ogni 6 ore cambia direzione. Per ovvi motivi noi cercheremo di navigare solo con la corrente favorevole.
Venerdì
Puliamo un po’ la barca in attesa della corrente favorevole, poi verso le 11 partiamo. Le rive sono piene di mangrovie, interrotte ogni tanto da qualche villaggio. Fa molto caldo, ma grazie a l’ombra del tendalino e alla brezza dovuta al movimento si resiste; comunque beviamo come delle spugne.
Navighiamo a motore fino alle 18, quando avvistiamo Nimbus ancorato sul lato destro; ci ancoriamo anche mentre il sole sta’ tramontando.
Appena fa buio inizia il concerto degli insetti, uccelli e chissà quale altro animale: fa una certa impressione.
Sabato
Sveglia alle 7, la corrente è favorevole e Nimbus è già partito, facciamo colazione in movimento.
Verso mezzogiorno ci chiama Nimbus per radio e dice di aver trovato un piccolo villaggio che vale la pena di visitare, ci andiamo anche noi. Vicino a Nimbus, sulla riva ci sono dei pescatori che stanno sbarcando del pesce, scopriremo poi che c’è un punto di raccolta del pesce e che 2 volte alla settimana viene una barca da Banjul a ritirare il pesce.
Andiamo, insieme a Greg e Jane, a visitare il villaggio che si trova circa un chilometro all’interno. Qui sono Mandinka e sono o pescatori o allevano qualche capra e galline. Ci accompagnano 5 o 6 ragazzi, il sentiero è polveroso e fa un caldo bestiale. Il terreno è molto secco e a qualche centinaia di metri dal fiume sembra di essere nella savana, ci sono tanti baobab.
Lo scopo della spedizione è di fare un po’ di provviste, però non utilizzeremo i soldi, ma faremo dei baratti. Noi abbiamo lo zainetto pieno di marmellatine, vecchi cappelli e magliette. Arriviamo al primo gruppo di capanne e subito un nugolo di bambini ci viene a salutare.
La gente non è abituata a vedere i forestieri, quindi ci riservano un’accoglienza sincera, e con orgoglio ci mostrano le loro capanne ed i loro averi. Barattiamo con un arzillo vecchietto una grossa zucca in cambio di un cappello, noi siamo soddisfatti ed il vecchietto è addirittura euforico e sembra molto orgoglioso del suo nuovo cappello.
Proseguiamo la nostra visita ad un altro gruppo di capanne, questa volta seguita da una decina di ragazzotti e bambini. La gente è molto cordiale ci guardano divertiti e ci danno la mano quando passiamo davanti alle loro capanne. Al secondo gruppo di capanne hanno qualche cocomero, ma qui non riusciamo a scambiare le nostre marmellatine (la Marr ce ne ha date 4 scatoloni) e siamo costretti a pagare 5 Delassi (1/2 dollaro).
Non hanno mai assaggiato la marmellata, e dopo averla provata, nonostante gli piaccia rimangono sospettosi dicendo che non mangiano le cose che non conoscono. Greg fa divertire tutto il villaggio mostrando la sua “mercanzia”, ha tutta una serie di camicie e di gonne vecchie e quando se le prova tutti scoppiano a ridere divertiti. Alla fine riesce a scambiare un vestito da donna con una povera gallinella, a cui sarà tirato il collo. Uscendo dal villaggio una bella bambina prende la mano di Annalisa chiamandola “Toubab mamy” (mamma bianca) e viene con noi; la mamma (vera) sorride e ci fa capire che se vogliamo ce la regala!
Torniamo verso la barca e quando passiamo davanti al primo villaggio le donne ci invitano a pranzo. Nonostante i nostri timori, dovuti alla lettura di libri di medicina che per l’Africa Occidentale elencano un numero impressionante di malattie, non possiamo rifiutare l’invito. Il menù prevede: come antipasto delle arachidi cotte nel fuoco e come primo un grosso piatto pieno di riso con sopra alcuni pesci bolliti. Il riso è condito con cipolla, peperoncino e altre spezie locali ed ha un buon sapore. Solo noi 4 più le nostre due guide ufficiali mangiamo dal piatto, le donne ed i bambini mangiano appartate.
Dopo il pranzo prima di avviarci verso la barca distribuiamo un po’ di marmellatine ai bambini e alla nostra “padrona di casa” che sembrano gradire molto. Rimaniamo d’accordo con le nostre guide che saremmo tornati nel pomeriggio per barattare un po’ di pesce. Infatti dopo un breve riposino torniamo a riva dove scambiamo un cappello con 3 belle sogliole (o per lo meno gli assomigliano).
Tutto il villaggio è radunato per i saluti e Greg e Jane a sorpresa gli regalano un pallone da calcio in cuoio (che avevano trovato sul Tevere a Fiumicino). I ragazzi fanno letteralmente i salti di gioia e ci salutano molto calorosamente. Un po’ commossi navighiamo per altre 6 miglia fino al tramonto, quindi ci ancoriamo vicino alla riva e ci gustiamo le nostre sogliole.